Dove la musica trionfa sul male, un diario personale di Ypsigrock 2015
di Marcello Farno - 26 agosto 2015
Muovere verso la Sicilia nella prima metà di agosto, attraversare distese di asfalto fumante, guadare il mare e poi sulla Messina-Palermo attaccare la freccia e affondare l’entroterra, risalire lungo il grembo delle montagne, tutto questo ha assunto per il sottoscritto, negli ultimi quattro anni, sempre più la forma di una consuetudine. Mio padre, lo si capisce dalla faccia che fa ogni volta che viene a sapere dei miei spostamenti, la intuisce un po’ come una piccola vittoria personale. Ho imparato ad amare la Sicilia e la musica probabilmente nello stesso istante, a sei anni qualcuno dallo stereo della nostra vecchia Fiat Punto verde metallizzato, diretta in vacanza a Roccalumera, canta la magia di trovarsi a passare l’estate su una spiaggia solitaria, mentre dal finestrino scorrono i chilometri della litoranea est insulare. Costruisco la mia personale epifania su quel pezzo e sulle immagini e gli odori di paesi e porti di mare detentori di una mistica unica e affascinante. L’aria delle cose, ogni volta che scorgo da lontano il monumento alla Madonna della Lettera, ancora oggi diventa irreale.
Credo di aver sentito parlare per la prima volta di Ypsigrock attorno al 2008. Le parole e gli aggettivi serviti come contorno a quell’esperienza erano gli stessi di oggi (“piccolo miracolo”, “oasi felice”), testimoni di un’inclusività totalizzante vissuta dai fruitori del festival. In fondo, chi c’era oggi come allora, finisce per sentirsi indistintamente parte e tassello fondamentale della crescita e dell’allargamento del bacino di utenza dell’evento, ormai sotto gli occhi di tutti. Allo stesso modo non mancano alcune scenate di gelosia e i mugugni che, da un paio di anni a questa parte, sento puntualmente ripetere dagli amici di lungo corso su alcune scelte artistiche: gli Editors e Erol Alkan nel 2013, Anna Calvi e la discoteca labirinto dei Moderat lo scorso anno. La line-up di quest’anno si presenta invece alquanto sobria, sembra aver riacquistato una certa genuinità, senza bisogno di quelli che potevano sembrare specchietti per le allodole.
E allora parto alla volta di questo Ypsigrock 2015 e lo faccio, come ogni anno, come in una strana circostanza del destino, coltivando la speranza che un weekend in un paese al centro delle Madonie aiuti a lenire le ferite, a sopperire le mancanze. Un anno sono gli sconvolgimenti personali, un altro una ragazza che ti lascia, quest’anno è un amico, che manca a me come un po’ a tutti. Chi lo ha conosciuto sa quanta energia sprigionasse Stefano quando si parlava e si discuteva animatamente di musica, vita e progetti futuri, e la mia prima volta con lui fu a Ypsig, seduti a un tavolo a bere qualcosa, al campeggio di San Focà. Proprio lì quest’anno c’è una quinta a forma di baffo che incornicia un palco, che, come un monumento a ricordare il protagonista di numerose battaglie siderali a colpi di ballamenti, si chiama Cuzzocrea Stage. È per questa assunzione che lo scenario del camping diventa ancora di più il terreno dove scoprire l’anima più immediata, scomposta, quella più verà quindi, di tutto il festival. La gente lo affolla sino e oltre le prime luci dell’alba, i live di DYD e Clap! Clap! e i dj-set di Fabio e Roberto, per una vicinanza spirituale prima che di intenti, conservano intatto quello stesso spirito che è il motivo per cui uno come Stefano era (e continua a essere) così radicato nel territorio Ypsi. Il “suo” territorio, la “sua” casa, come qualcuno ha avuto più volte la premura di sottolineare.
Quel qualcuno risponde a diversi nomi, quelli delle quasi centocinquanta persone che tra volontari e staff organizzativo sono lo scheletro che sostiene e spinge in avanti le azioni del festival. Sempre Stefano, su queste stesse pagine, dipingeva lo scorso anno un inviadibile ritratto di famiglia ypsina, che aiutava a capire le dinamiche che entrano in gioco nell’organizzazione complessiva dell’evento. Che in questa edizione è stata difficile, anche più degli altri anni. Come ha scritto Marcella, responsabile delle pubbliche relazioni di Ypsig, in un post su Facebook: “Non dimenticheremo la fatica, la tensione e la soddisfazione per essere riusciti a portare a casa un’edizione che ha del miracoloso. [...] Nonostante le band saltate l’ultima settimana e rimpiazzate in tempo record, le trombe d’aria, gli acquazzoni apocalittici e i nudi integrali è stato puro spettacolo, esattamente come tutti noi ci aspettavamo fosse, con buona pace dei detrattori dai nasi storti e dalle cattiverie gratuite facili“.
Vivendo dall’altro lato della barricata, la cosa più appagante che si possa affermare è che ha funzionato tutto effettivamente così, segno che il festival, alla vigilia del suo ventesimo anno, ha raggiunto finalmente una piena maturità che gli permette di gestire con equilibrio e prontezza ogni tipo di situazione. Una maturità sinonimo, alla stesso modo, anche di investimento: la crescita del camping in termini logistici e artistici, ma anche la sempre più consolidata presenza del second stage al Chiostro di San Francesco. Dove mi è spiaciuto vedere il povero Bipolar Sunshine orfano di band, smarrita a Londra, costretto a tenere il palco con un karaoke che non ha restituito appieno la forza delle sue composizioni. Amici fidati mi hanno invece confermato che a brillare prepotetemente è stata la stella del giovane Rhò, che ho sfortunatamente mancato, perso in qualche degustazione e discussione sulle qualità dei pistacchi di Fiasconaro (il mio consiglio rimane quello di buttarsi sempre sull’oro verde) o nell’ennesimo giro in bicicletta al Cin Cin Bar (per chi non lo sapesse, la bicicletta è il drink ufficiale di tutto il festival, vodka, prosecco e granitina al limone, e guai a dire di no). Ma è anche questo avvolgente muoversi a zonzo tra la spiaggia di Cefalù e i sanpietrini di Piazza Castello a dettare tempi e modi di fruizione delle cose, a spingere oltre ogni limite la convivialità, a mettere le fondamenta per la costruzione di una famiglia che si riconosce, per quei quattro giorni e anche dopo, alla vista del braccialetto di stoffa stretto al polso. Che quest’anno recita sognante l’adagio “I guess I’m still a teenager“.
Anni che passano e sembrano sfiorarci, un po’ quello che succede ai Notwist, che fanno la figura dei leoni nella serata di chiusura, un bignami, immaginiamo utile a molti, di come rock ed elettronica possano convivere in un’anima sola. Solidi e con un frontman che vale la metà dello show invece i Future Islands, mentre sabato, sullo stesso palco, i Metronomy riattualizzavano il significato di coralità pop, giocando a indossare i panni di nuovi Beach Boys. Un po’ meno brillante il venerdì dei Battles, il nuovo live è per ora un saliscendi di equazioni matematiche, con passaggi eccitanti e altri più noiosi. Divertente la rock’n'roll balera dei Sonics e bravi, ma con tanta personalità ancora da costruire, i Temples. La pioggia del sabato ritarda alcuni live, ne taglia la durata e ne mostra i limiti: riformati per sovrannumero tra qualche anno i KVB, e allo stesso modo inconsistenti i tric-trac di East India Youth. Sui Fat White Family preferirei non sprecare ulteriori parole di quante ne siano già state dette, dove il pisello del tipo si agita a destra e sinistra la musica non va da nessuna parte.
La performance è piuttosto servita a dare adito a un carico di polemiche “local” dalle quali ogni singola persona che ho visto coi miei occhi muoversi e godere dell’energia del festival si potrebbe tranquillamente dissociare. La risposta dell’organizzazione è stata ancora più pronta, in una lunga lettera viene sottolineato il legame inscindibile che unisce Ypsigrock ai suoi luoghi, e contemporaneamente le ansie e le fatiche che bisogna burocraticamente ed economicamente sopportare nel portare avanti, garantendo uno standard così alto, il festival. La lettera si chiude in una maniera molto amara: “Adesso è il tempo delle pacate riflessioni e l’associazione Glenn Gould non ha alcuna intenzione di imporre il Festival alla cittadinanza per cui la richiesta scevra di ogni ipocrisia e inganno di chiudere il Festival sarà subito operata senza rincrescimento alcuno. Se così sarà, quanto abbia dato Ypsigrock Festival a Castelbuono e quanto abbia ricevuto da Castelbuono, rimarrà una incredibile, fantastica, entusiasmante pagina di storia e di sentimenti in purezza“.
Riusciranno i nostri eroi a sconfiggere il male per l’ennesima volta? Come nelle migliori storie crediamo proprio di sì, e la musica, vissuta nella maniera pura e vivificatrice che caratterizza Ypsig, rimarrà lì a scrivere un altro finale. Ora come sempre.
(foto © Milo Alterio)