A cena con The Original Soul Pains
di 2bePOP - 2 febbraio 2013
Non so quanti di voi hanno visto The Commitments di Alan Parker, ha qualche annetto sulle spalle ma è passato anche tanto in tv. Io quando vado ad un live di The Original Soul Pains, non posso fare a meno di pensare al film sulla soul band dublinese. In effetti in quelle serate per un paio d’ore Cosenza diventa Dublino o Brighton con boccali di birra, bretelle e Dr Martens in bella mostra. Ma non solo, quello che più rimanda alla terra di albione è la musica dei Soul Pains.
Un concentrato di soul, blues, funky, ska e, udite udite, a tratti anche gospel. Le apparizioni pubbliche, e direi anche casalinghe della big band calabrese, si contano più o meno su tutte le dita di una mano. Il numero vai poi moltiplicato per almeno il doppio di cento quando si tratta di contare gli spettatori dei loro concerti. Considerando tra le altre cose che non hanno in scaletta neanche un brano in italiano e che il loro disco di esordio non è stato ancora pubblicato, il caso degli Original Soul Pains merita di essere approfondito.
L’occasione si presenta con una cena a casa di Mattia Tenuta, aka MrT, frontman e cantante della band insieme alla portentosa Elisa Brown.
Arrivo a Cosenza intorno alle 19, trovo già sul posto l’altra metà di Misahsquad, dj Kerò. Mentre lo stereo suona un azzeccatissimo Django Reinhardt, consumiamo il nostro prosecco accompagnandolo a prodotti tipici. Mattia mi parla di Bitter Day, è il loro primo disco. “E’ proprio bitter e non better, si intitola così proprio perché parla di un giorno amaro. Lo abbiamo registrato quasi live per qualche mese al Picicca Studio di Rende. E’ stata utilizzata anche una sezione d’archi. E’ composto da 11 brani inediti. Questa cosa mi inorgoglisce perché la maggior parte delle band new soul ha un repertorio basato essenzialmente su cover alle quali si aggiungono soltanto tre o quattro canzoni originali. Con noi il rapporto è inverso.”
Mando a fondo il terzo bicchiere mentre Dj Kerò sperimenta l’MPC del mio i pad e Mattia si appresta a cuocere la carne e continua a raccontarsi. Tra un beat e l’altro che copre completamente la chitarra di Django, chiedo perché abbiano deciso di scegliere di suonare proprio il soul.
“Generalmente si tende a suonare quel che si è sempre ascoltato. Per quanto mi riguarda sono cresciuto con il northern soul ed i classici della musica nera, i ritmi in levare e la Trojan Records. Cosenza non sarà Torino o Milano, tuttavia è stata sempre all’avanguardia per quanto riguarda il post punk, i mods e red skins che sento molto vicini. Pensa che già nell’83 band come i Lager suonavano ai raduni mod in giro per l’ talia. La cosa importante è che pur provenendo da ambienti musicali diversi sapevi di poter confrontarti. Lo scambio, a condivisone di ascolti e le collaborazioni sono state fondamentali. E’ stato così negli anni 90 con la South Posse che si guadagnava il rispetto della scena punk-rock, oggi Brunori fa un brano con Kiave, eccetra; insomma questa è la scena policroma di queste parti. Tutto ciò allarga i confini e le conoscenze musicali di ognuno. Il batterista dei Soul Pains, ad esempio, proviene dai Duff, una band hardcore punk. Come sai già, io stesso ho collaborato a progetti dub ed elettronici. Alla fine credo che tutto succeda in modo molto naturale: è la musica stessa a conquistarci. Già nel 2010 avevo scritto diversi pezzi, ne parlai dapprima con Silverio, il chitarrista dei Soul Pain, ed iniziammo ad arrangiarle. Poi con gli altri incominciammo a suonarli e non avrebbero potuto avere altra forma che quella del soul ”
Mentre ci sediamo a tavola, approfittando della momentanea distrazione di Kerò, ripongo l’ipad e passiamo al vino rosso. Ribadisco a Mattia le mie perplessità sulla diffusione e la promozione del genere che suonano in questa Italia così musicalmente bassa, distratta e che non contempla la musica di qualità.
“Con le dovute proporzioni, Il successo di Amy Winehouse ed il fatto che ci siano una serie di etichette europee di new soul molto importanti e in una scena altrettanto attiva mi conforta e non poco.
Abbiamo cercato un suono molto più orientato verso il pop e non di matrice vintage. E’ chiaro che guardiamo più al mercato estero, ma riteniamo di essere meritevoli di attenzione proprio perché facciamo un genere diverso. Vorremmo fare tantissimi live ma, per una serie di comprensibili motivazioni, non è facile portare in giro una band di undici elementi senza avere un contratto discografico serio o introiti praticamente inesistenti. Stiamo valutando tutto con calma, crediamo nel disco, continuiamo a perfezionarci ed abbiamo anche tre nuove coriste. Nella convinzione che alla fine la qualità paghi, ci concentriamo sul modo migliore per diffondere il soul ”.
Nel frattempo mangiamo il dolce e sorseggiamo un buon Porto. I cellulari iniziano a squillare; dai, facciamoci un giro che è sabato. Stay Soul.