Primavera Sound 2013 (sabato 25 maggio)

di 2bePOP - 26 maggio 2013

foto di Serena Belcastro

foto di Serena Belcastro

Impressionante. Trovarsi difronte alla distanza che separa il palco del Primavera dallo spazio riservato ai pro e alla stampa è, alla luce del giorno, estenuante al solo pensiero di doverla percorrere; e pensare che di notte è un tragitto che si compie continuamente e senza sforzi. Sembrerà una banalità, ma la musica lenisce. Altrimenti perché continueremmo a correre chilometri, accumulando le frustrazioni lavorative dovute ad un ambiente, quello del rock, che somiglia ad una guerra tra poveri?

E pensare che, giunti a destinazione, questa aberrante solitudine si risolve in cifre da capogiro: 170.000 presenze al festival nella sola giornata di venerdì, praticamente l’intera città di Cosenza, senza nessun Franco, si spera, viste le omonimie traumatiche che hanno dominato questi luoghi in passato. Ecco, oggi scorderemo il passato, un po’ per non cadere in un’altra serata nostalgia, come quella di ieri, ma soprattutto perché gli organizzatori, sempre in conferenza stampa, guardano al domani: sono ancora le 18 di sabato 25 maggio 2013 ed è già stato annunciato l’haedliner dell’edizione 2014: i Neutral Milk Hotel.

Siamo agli sgoccioli, intanto. L’unica cosa che importa, senza pensare alla fine, è accaparrarsi più show possibili, cercando il nuovo, almeno oggi, buttandoci alle spalle il passato, per quanto possibile. Un occhio di riguardo ai palchi piccoli allora. Gli Hal Flavin non sono affatto male ad esempio. La band lussemburghese ha un sound elegante, con venature wave e cura per l’elettronica, peccato che il palco Adidas abbia un impianto che non ne premia i paladini, succede ogni giorno e ad ogni ora. Eppure, poco più tardi, il fonico che si sono portati da casa i torinesi Foxhound lo fa suonare con una certa mole. Loro ne escono vincenti e non horrors. Quando si dice all’avanguardia con le tecniche.

Tra i due spettacoli emergenti si fa una capatina poco più in là, all’Atp. Mount Eerie ha il potere di ricongiungerci col mondo. Che serafica pacatezza. Tant’è che il leader Phil Elverum riesce a ridere e farci sorridere del disturbante frastuono proveniente dallo stage di fianco, senza proferire parola: gli basta ballicchiarne le note, nel silenzio tra una canzone e un’altra. Adam Green non ce la fa a fare infuriare il suo collega di Washington, che continua imperterrito a sussurrare canzoni, accompagnato dalle sue tre signorine, concedendoci pace, serenità e addirittura poesia. E c’è da ribadire che più che patetici siamo famelici, sia chiaro.

Al Pitchfork, quindi, bisogna passarci per forza: intrappolati nella nostalgia che ha animato il giorno precedente ci siamo persi il live di Solange, che pare essere stato uno dei migliori dell’intera rassegna. Oggi, dunque, si corre lì. Menomale: Melody’s Echo Chamber delizia, sbrana, cattura e intrappola. Il progetto della bella Melody Prochet è davvero wow. Molto meglio degli amatissimi Wild Nothing, almeno live, condividendone i tratti ed elevandoli a quadro. Una delle cose meglio riuscite in assoluto in questa tre giorni in cui ci si perde qualche pezzo per via degli spettacoli spesso in contemporanea. La band le dà una grossa mano, certo. La leader però è degna del posto di comando. Ci si innamora insomma. Tornando giovani per un po’.

Purtroppo la tentazione di non dimenticare le vecchie passioni è un vizio. I Dead Can Dance meritano una corsa verso il Ray Ban stage, eccome se la meritano. Performance da encomio. Eppure pare di essere di fronte ad una festa chill out di un tempo ormai andato. Ci siamo ricascati insomma. Riposiamo le stanche membra e ci lasciamo morire sulle scalinate. L’ascesa verrà. Il mantra di oggi è questo.

Comunque se errare è umano perseverare rischia di essere diabolico. Però sarebbe ancora peggio mancare l’appuntamento con la storia del rap, o almeno della sua golden era. Del resto chi si perderebbe il live del Wu-Tang Clan? Non ci sono proprio tutti, pare manchi il pezzo forte, ma cosa cambia? Vedere la crew al lavoro è come scoprire chi eravamo. Sono invecchiati i ragazzi. Eppure l’energia non gli manca. Si sparano Cream quasi subito e giocano al call and response rubacchiando ai Beatles, restituendo il blues agli afroamericani, un po’ come avrebbe fatto Robin Hood. Il compianto A.D.B. è citato e decantato più volte, segno che anche loro non riescono a lasciarsi nulla alle spalle. RZA, invece, alle spalle si lascia pure la consolle in uno spettacolino da dj vecchia scuola che gestisce con mani, piedi, lingua e maestria. Signori e signore era l’hip hop. Ne restano i cocci, oggi e altrove, che chi lo ha rotto sfrutta. Avremmo mai potuto perderci un’ora e venti di Wu-Tang e giustizia dunque? Gli eroi, oggi, vanno tutelati.

Non a caso, anche da Nick Cave c’è il pienone. E che te lo dico a fare, Sonnie? Altrove i Camera Obscura portano il romanticismo. Belle cose. Tanto amore e qualche speranza in un domani migliore che guarisca il cuore  infranto.

La missione successiva? Non far tardi al live dei Lies. Una bomba. Energia che rischia addirittura di rendere troppo audaci. Ci si guadagna una prima fila per ingordigia e si finisce intrappolati in una performance al fulmicotone e in bassi che stonano come una botta in testa o altrove. Respiriamo l’aria e inspiriamo assaporando Primavera. Eccoli i nuovi eroi, cercavamo proprio gente come loro. L’elettronica e il rock non hanno ancora smesso di proliferare segno che il domani esiste. Non è tempo per essere scettici: è il momento di gioire dell’adrenalina indotta. Missione compiuta.

L’altro lato di questa medaglia al valore è, però, la perdita di udito e coraggio per tentare di toccare con mano i My Bloody Valentine. Ci si accontenta di file meno intime e di un live che va in crescendo. La nostalgia muore e porta i 90 ad essere ancora un decennio da emulare. Altro che disfatte. È la band che più ha saputo consegnare ai ragazzi di oggi i limiti da oltrepassare. Ok, i volumi non sono quelli di un tempo: nessun morto e nessun ferito dunque, ma su Feed Me With Your Kiss e sulla contundente ed agrodolce You Made Me Realize i feedback tornano quelli maestosi, avvolgenti, penetranti dell’immaginario collettivo che lega Kevin Shields all’orizzonte tra realtà concreta e proiezioni oniriche che ci ha fatto continuare a sognare, con o senza amore. Non siamo ancora fottuti, non siamo ancora fottuti, questo è il mantra. Manca poco, troppo poco però. È la fine.

Il resto sono gli Hot Chip che sembrano pronti per l’uno maggio a Piazza San Giovanni, qualche ragazzetta con troppo md in corpo e un festone finale che fa sembrare il dj-set di John Talabot la manna dal cielo e noi dei miscredenti e detrattori ad ogni costo: parlare male della sua selezione del giovedì è da irriconoscenti. Becchiamoci Dj Coco allora. Ci sta bene. Se non si apprezzano gli sforzi non resta che una condanna alla dozzinalità. Oppure, guardando il festival, alle 6 e 30, mezzo pieno come il proverbiale bicchiere, sentiamoci già a casa, eliminando l’effetto jet lag. La triste quotidianità è già (ri)iniziata. Fortuna che gli dei ci proteggono e Apolo prevede un’altra possibilità per noi (2beContinued…)

Stefano Cuzzocrea

  • bellissimo pezzo. triste per non esserci potuto essere a sto giro.