Primavera in ritardo
di 2bePOP - 12 giugno 2013
Il titolo è salvo. La borsa non c’entra. Del resto le spa sono roba da ricchi, continuando a citare gli 80, o da omosessuali e signorine, tornando invece sugli zero in assoluto, e noi sia di revival che di apparenze ne abbiamo fatto indigestione. Il titolo è salvo perché pensato settimane fa originariamente per raccontare il gran finale del Primavera Sound: un seratone all’Apolo con i Deerhunter a tenere svegli i nostri sogni da adolescenti in via di guarigione.
Ho visto il futuro del rock’n’roll è il suo nome è Deerhunter sarebbe stato un ottimo attacco, ma Landau oggi è il braccio destro del Boss dopo avergli salvato la vita, dunque è un’espressione che porta subalternità oltre che denari. Cosa ci importa di più tra le due cose? Ebbene, tornando a Barcellona e a quei suoi palchi c’è da aggiungere che l’Atp ha fatto davvero una brutta fine: messo in angolo a sopportare la sorte che è toccata all’omonimo festival inglese, ovvero la bancarotta o quasi. Due anni fa era lo stage più sapido, forte di un rispecchiare idee nuove sulla direzione artistica, molto più culturali che affaristiche, oltre che a ridurre quasi a zero le distanze tra palco e realtà, in barba alle dissociazioni care a Ligabue. E invece sta finendo tutto tranne la birra.
Cambia la marca, certo, ma sono solo le nostre sbronze a lasciare che questo mondo resti in piedi: Heineken o San Miguel che sia lo sponsor, è una questione di palliativi e sopravvivenza. Andiamo avanti incoscientemente. Ed è ora di svegliarsi. Non solo di Pitchfork e Vice campa l’uomo, il ragazzetto è un’altra cosa, per temporanea fortuna, tant’è che i suoi baffi non sono conditi sale e pepe. Il gusto pieno della vita necessiterebbe però di punti di svolta e invece l’unica cosa veramente di sinistra o progressista, oggi, è la gastrite. “Ho un nodo in gola che è difficile mandare giù”, avrebbe rappato qualcuno, e potrebbe essere un Ovo sodo, ipotizzerebbe Virzì; ed entrambe le cose hanno a che fare con l’esofago, ok, ma anche con la nostalgia.
Continuando ad utilizzare il Primavera come metafora, nel mare di 90 dove abbiamo sguazzato per tre giorni, ci siamo e c’eravamo anche noi. Ma chi vuol fare la fine dei Jesus And Mary Chain? Immobili come mausolei di una tristezza che aspetta la morte, privi anche di quell’audacia in distorsione e della eco che li ha condotti al cospetto del passato ma non del futuro, in giacchette nere da impiegati dalle quali emergono pancioni Heineken o San Miguel come corde legate in vita per tirarli su proprio da quel mare in cui navighiamo tutti. Un amico mi ha detto che non ho capito un cazzo di quel live, eppure lui l’ha visto al pc. Certo, poi mi ha chiesto scusa, dopo aver confrontato il mio report con un’altra manciata di resoconti simili. Già perché di Gigi non frega niente a nessuno, neppure agli amici: loro bussano solo per La cremeria. È quella schiavitù da brand che ha fatto di No Logo un logo. “Niente è gratis, niente è a posto, le insegne luminose attirano gli allocchi”; chi è che mente a chi?
Non mi stancherò mai di ripetere che stiamo costruendo la stessa società clientelare che contestavamo, solo che la nostra è dei miserabili. Sapete che i magazine in ambito musicale più autorevoli e aggiornati non pagano? Che il compenso di un quotidiano nazionale è di circa 24 euro nette ad articolo? L’ho detto. E non lo affermo per risentimento: i soldi sono pezzi di carta e, pur non essendo George Best, li ho spesi quasi tutti in vizi e gli altri li ho sprecati. La dignità è un’altra cosa però. Avete mai letto sulla vostra rivista preferita una recensione della Pausini o di Ramazzotti? Ebbene ci sono loro al numero uno ogni volta che sfornano un album. E se si pensa che il direttore illuminato che ha piazzato Fabri Fibra in copertina ha preso vagonate insulti dai novelli fan degli Stones si potrà comprendere di come sia tutto un controsenso che rifiuta la realtà in cambio di sogni presi in prestito dal trapassato remoto e dalle feste dell’Unità. Ma allora di cosa stiamo parlando? Forse della band che ti manda il disco a casa per fartelo recensire e, dopo dieci recall, ottiene la stroncatura e la ignora con risentimento perché chi scrive non è un musicista? Minchia, ma manda il tuo fottuto album ai professori se il rock deve restare dei conservatori. Tutta sta faccenda non ha senso, o almeno non gliene trovo più molto.
L’unica retribuzione equa è il fatto di avere una grande famiglia ovunque, unita dal vincolo della passione e degli stenti. Ci vogliamo bene, questo è chiaro. Ma lobbysti e hobbysti, mimetizzati in foreste di luppolo, rischiano di lacerare anche questi vincoli carnali per cibarsene, ingordi come sono, viziati come sono, abituati come sono, privilegiati come sono, opportunisti come saranno. E quando rimarranno solo le carcasse, poi, loro saranno altrove, oppure guarderanno La Scena dalla stanza dei bottoni. E noi? Troppo vecchi per resistere alla battaglia o troppo affamati per non cibarci dei brandelli rimasti della famiglia Ugolino, di carne della nostra carne, perché di carne siamo fatti. Non ve ne accorgete di cosa può fare una carezza? Di quanto può corrompere? Non vi accorgete che la vostra playlist, la foto di vostro figlio e l’ultimo articolo che avete scritto ubbidiscono alla stessa logica del rapporto intercorrente tra Vasco, la vanità e Youtube? I don’t like it: pigio un tasto che mi è proibito concepire e resto connesso perché la coerenza è troppa noiosa.
Resto Gigi però, se pure ho il sangue gelato per una primavera che non arriva più. Forse non siamo più abituati alle mezze stagioni che pensavamo non ci fossero più? A dire il vero preferisco l’inverno e l’estate, il nero e il bianco, eppure il cielo è grigio come gli orizzonti di questa adolescenza protratta ad oltranza. Saremo quelli troppo giovani che ora stanno diventando troppo vecchi, questa è la verità. E comunque sarei felice di essermi solo accorto in ritardo di trovarmi in un’eterna primavera. Sperando che non sia, invece, già autunno…
Stefano Cuzzocrea