P come polvere
di 2bePOP - 13 agosto 2013
Scosto la polvere dalle pagine della memoria, consultabili grazie alla patina che le ha avvolte, alla sovrapposizione di particelle di mondo sedimentate una sull’altra, custodi senza tempo di ciò che è stato.
Tutto iniziò con Anassimandro e col suo apeiron, con la particella primigenia, col pulviscolo o con l’impasto divino di polvere e acqua da cui nacque l’uomo, col fango primordiale che generò l’umanità, melmosa e torbida sin dal principio, nella versione delle Sacre Scritture: “Polvere eri e polvere tornerai” recitavano incomplete, monche, forse in omaggio agli individui cui era riferito il monito, in una prima forma di censura ante-litteram che avrebbe caratterizzato secoli di Chiesa.
Polvere creerai, polvere userai.
Da cucina, per insaporire i cibi, speziarli, colorarli, renderli meno monotoni al palato, infiammando le papille gustative con la deflagrazione della novità, in viaggi culinari che partivano dall’interno della bocca per finire nell’Oriente del mistero, del pepe e della noce moscata.
Da sparo, per cannoneggiare i velieri nemici e arrembarli con i rostri della conquista, per assediare le città da annettere a regni e imperi, per lavare l’offesa dei popoli nemici nei crogiuoli della vendetta a distanza, per separarsi dall’atavico tramite letale della lancia e della spada, per mettere una distanza fragorosa e roboante tra la tua vita e la loro morte.
Polvere guarderai, polvere toccherai.
Dall’oblò della tua mansarda o dalla finestra del tuo soggiorno nella penombra estiva con la luce di Dio che filtra, perpendicolare o di traverso, e rifletterai sulla caducità delle cose e delle persone e sul flusso del tempo che non torna indietro, quando polvere pulirai dalle copertine degli album fotografici di famiglia in cui i tuoi nonni incarnavano involontariamente l’epoca che non sarà mai più se non nel tuo mito, i tuoi genitori fulgevano nello splendore della giovinezza perduta e tu facevi timidamente capolino alla ribalta della vita immortalato in un’infanzia colorata tenuemente; e polvere scosterai dai libri di cui non serbi che un vago ricordo, da quelli che ti hanno cambiato la vita e da quelli che te la cambieranno, dai vinili che non ami più come un tempo e da quelli che migliorano man mano che le copertine ingialliscono e i solchi stridono frusciando, e polvere soffierai dai trofei e medaglie di quando pensavi che anche tu saresti stato un campione da grande, che tutto si sarebbe risolto in una premiazione senza sconfitti e che male che potesse andare saresti stato comunque sul podio.
Polvere leggerai, polvere temerai.
Dalle pagine che raccontano di un Arturo Bandini che interroga la polvere che ammanta la sua macchina da scrivere come colla per topi nelle trappole costruite dalle parole e gli secca la gola paralizzandone gli slanci di vita, affinchè le frasi non scritte non superino mai le esperienze non vissute, che implora il Dio che non ha che la polvere scaturita dal terremoto non sia l’unica fonte a cui si abbeveri la solidarietà tra esseri umani, che chiede alla polvere del deserto che inghiottirà la sua Camilla di consegnarle almeno il suo primo libro prima di accoglierla fra le sue dune.
Dalla saga dei Joad, presi per mano da un monumentale Steinbeck che ci porterà con loro in fuga dalla polvere, lontani dalla propria terra quanto prossimi ai propri incubi di povertà e nomadismo, in uno sfacelo poetico e terribilmente contemporaneo, imprigionati tra tende, macchine rattoppate e polenta e lardo in padella, a sognare California mentre si vive nell’inferno dell’avvento del latifondo nell’odissea dell’America che accumula e distrugge e fagocita e reprime, con la polvere che si trasformerà in fuga perenne, e la fuga in fango, e il fango in Furore.
Polvere inventerai, polvere utilizzerai.
Dai laboratori chimici, la genererai, vestito di camici candidi e puri come la vocazione della scienza; prima sarà polvere vitale, latte in polvere per neonati da crescere forti e sani, pennicillina in polvere e polvere contro le epidemie e i pidocchi, contro i topi e le zanzare infette, polvere ad uso medico, polvere da iniettare nel sangue degli uomini per renderli meno cagionevoli, da inoculare nei loro corpi per vaccinarli o per curarne i malanni, polvere che rimargina, che combatte la morte, polvere che sperimenterai su animali e piante, polvere che ucciderà gli insetti che distruggono i raccolti, polvere che però non si ferma, che non s’arresta, che non si accontenta mai, pervasiva, sottile, multiforme, multiuso, mai sazia, che da antidoto si trasforma in veleno.
Polvere che ricadrà come arma chimica sul fronte delle guerre fratricide, polvere che sarà somministrata ai soldati in guerra per lenire i dolori, polvere che li renderà indistruttibili nella battaglia, insensibili a stupri orrori e spappolamenti, polvere che li annienterà quando non serviranno più alla patria, polvere che poi cambierà ancora, che allevierà il mal di vivere di regine, principi e filosofi, che illuminerà le idee di artisti e pensatori, di scrittori e pittori, di registi e attori, prima di ridurli in polvere.
Polvere che ad un certo punto pioverà come maledizione biblica dal cielo, come polvere di stelle, a cascata, su tutti, inonderà le strade, i palazzi, le vie e le case, polvere da cui fuggirai senza trovar riparo, polvere che inquinerà fiumi, campi, cervelli e corpi, polvere che trasformerà i sogni in incubi, polvere di Dio che castiga gli uomini, polvere di qualcosa che diventa nulla.
Polvere vedrai, polvere vorrai.
Dal tuo compagno di uscite del sabato sera, la vedrai, la soppeserai e dirai che tu non ci cascherai, che al massimo l’assaggerai, che tu sei troppo forte per farti fottere da una polvere, ignorando che la tua essenza è polvere, i tuoi ricordi sono polvere, il tuo futuro è polvere.
Da spacchi opachi la snifferai, amara come la vita, o dal cucchiaio la aspirerai con una siringa, o dalla stagnola ne fumerai i vapori, o dentro l’acqua la berrai, convinto che la polvere è solo polvere.
Dai rotocalchi e dai programmi televisivi la coglierai, tracimante dagli occhi e dai nasi impavidi della bella gente, la userai nelle feste dei fighetti tra gente di un certo livello, in quelle dei techno-rangers immerso tra cani sciolti e tatuaggi e piercing, o a casa tua solo davanti allo specchio in compagnia esclusiva del fantasma di te stesso, la troverai brillante nel del più laido squat o sotto i riflettori della produzione televisiva a cui hai sempre sognato di lavorare, te ne innamorerai, accanto all’ultimo dei tossici che si finge il primo degli uomini, perchè l’amore è cieco ma la malasorte ci vede benissimo, e t’incastrerai, cercavi polvere di stelle e hai trovato merda in polvere -non sempre il Sultano Serendippo conduce a giusta destinazione- volevi toccare il cielo con un dito e invece troverai la fogna con tutto il corpo, la tua carne la brama anche se la tua testa e la tua anima dicono di no, e in questo gioco senza premi alla fine non vince nessuno, perchè la polvere è assai democratica, rende tutti perdenti, ricchi e poveri, belli e brutti, geni e dementi, tutti sullo stesso livello di allegro disfacimento, in un’orgia di simpatica putrefazione.
Ice Motherfuckin’T con il suo progetto Body Count, a testimonianza del fatto che il Parental Advisory non ha mai funzionato, dai tempi della Bibbia ai giorni nostri, cantava così:
“You wanna get high as the sky, but you’re kissin’ your life goodbye, you think it’s a game that you
play, but the winner loses, the winner loses it all some day”.
E noi con lui, convinti che non avremmo mai sbagliato.
Peccato che amando i viaggi esagerati, il nostro fuso orario è durato una generazione.