Neffa molto calmo e i Colle Der Fomento: altri arrivi e false partenze
di Stefano Cuzzocrea - 25 giugno 2013
Che settimana. C’è voluto qualche giorno per metabolizzare il chiacchiericcio tellurico. Che sia hip hop o semplicemente rap è comunque un mondo a parte. Non importa che i dischi raggiungano il grande pubblico o restino relegati in scaffali stipati nell’underground: il morbo è lo stesso. Un virus strano. Tant’è che la notizia che Neffa torni a strizzare l’occhio al boombap genera accordi e disaccordi. E poi esce il nuovo singolo dei Colle Del Fomento e le polemiche vanno in altra direzione.
Si tratta di due nomi seminali per il fenomeno, intrisi di nostalgia dei 90 ovviamente. L’età dell’oro non si scorda. Che si tratti di talento o di Talenti lo zio d’America è imprescindibile. Il gioco è sempre lo stesso: un autismo o qualcosa che gli somiglia che plasma le menti anche degli mc più intelligenti. Quando si parla quella lingua ci sono idiomi inaccessibili ai non adepti. E i re restano re. Anzi tutto resta uguale o quasi. L’esterno è un bacino di utenza da canonizzare o un riflesso nel quale specchiare l’ego ipertrofico. In più il rispetto assume una connotazione quasi mafiosa. E poi c’è l’antagonismo, scambiato per militanza politica 20 anni fa e oggi tornato ad essere agonismo puro, proprio come ne parlavano Wollace e Costello nel loro trattato sociologico intitolato “Il rap spiegato ai bianchi”.
Ovvio che gli Usa li si getta nello stereo o nel lettore mp3 oppure ancora sui piatti cari all’appetitosa tradizione, e invece di ammettere che il palco e la Rete sono un terreno sul quale gareggiare si fa finta di essere uniti per via una diplomatica corporazione che profuma di un’usuale e universale scienza politica. Non tutto va a puttane. Certo ci sono i ruoli nei porno e qualche berlusconiana a gambe larghe che abbracciano la scena, ma poi si resta amici, a parte che nei corridoi del pettegolezzo, sartorie del taglia e cuci oversize.
Alla fine ai nuovi e vecchi paladini del microfono è concesso tacitamente di comportarsi come i loro mentori a stelle e strisce, salvo un giudizio morale che è però esente dai tribunali nonostante i posti alti in classifica raggiunti: si tratta di altri palazzi del potere fatti talmente tanto di amore che sembrano tutti nati ai bordi di periferia, citando Eros, se pure nei ghetti ci si è finiti per cazzeggio, scivolando dalla bambagia per sporcarsi le mani senza rischiare di finire a fare il meccanico. Grasso che cola. I preconcetti non mancano. Tant’è che il ritorno al rap di Neffa, tornando a bomba sul fulcro del discorso, non è concesso inquadrarlo in un cambio di rotta al fine di un successo commerciale.
Certo, l’hip hop italiano oggi fa i numeri, ma lui non si è mai venduto. L’ex batterista dei Negazione non negava se stesso cantando in playback sul primo canale nazionale attorniato dalle miss Italia in concorso: era una scena punk nel vero senso della parola, o no? Quando Lydon ha rivelato che la parola punk indicava i galeotti falliti che non potevano opporre resistenza all’essere sodomizzati intendeva proprio questo, tant’è che ha illustrato questa erronea interpretazione del vocabolo a posteriori, dopo decenni di storia del rock, e successivamente all’aver partecipato all’Isola dei famosi e all’aver fatto da testimonial allo spot del burro più venduto in Uk. Dio salvi i re insomma. E che si creda o no il re è salvo. Difatti, sebbene la mossa di marketing dell’ex rapper Neffa sia pienamente riuscita, dando interesse ad un disco per via di un paio di brani che non ne fanno neppure parte, orde di allievi lo santificano con quel timore reverenziale che ha colto anche Turi all’indomani dell’averlo chiamato femminuccia.
Tutto lecito: aspirazioni, devozione, fraintendimenti. Ciò che sorprende lo rileva giusto qualcuno: il re può ancora agitare lo scettro ma non rappa più come una volta, tentenna, pur scrivendo bene tentenna. L’hip hop è anche sport, come si diceva: è basato sui campioni ma anche sui loop e se esci dal giro è difficile tornare a fare primati correndo lungo la circonferenza. Agli antipodi c’è già chi può ribadirlo con fatti e non con le semplici parole o pugnette.
Chi? Lo si è detto in principio: i Colle Del Fomento. Loro non tornano, loro ci sono sempre stati. Un nuovo singolo ristabilisce l’equilibrio sui sette colli, anzi sugli otto dato che va contato anche quello del Fomento come da genesi ventennale. Il cappello che Simone, noto come er Danno, indossa nel videoclip è metafora di un immaginario che lo ricollega al suo mito di sempre: L.L.Cool J.. I radioloni inseriti nella scenografia hanno la stessa funzione: riportare tutto lungo una linea semiotica precisa, anche il linguaggio. E se è Beffa questa volta il rapper che più ha da dire, il corale celarsi dietro i panni di Sergio Leone del duo stabilisce i primati con lo stesso linguaggio: quello della metafora. La contrapposizione non è cinematografica ma reale: per Tarantino non si intende l’ispirato regista di ultima generazione, ma una corrente derivata che guarda caso porta il pulp nel rap e rischia di offuscare la graduatoria. I re di Roma sono ancora quelli che governano l’ottavo colle. C’è chi può negarlo? Che si faccia sotto allora. Il senso è chiaro.
L’unico neo è il continuare a parlare di canne, come i pischelli di 20 anni fa. Che sia un’altra metafora per farci comprendere che loro due sono rimasti gli stessi di sempre? Sarebbe bastato il flow fiorito e mai appassito. E invece tocca tenerci pure i semini, sperando che crescano…
Stefano Cuzzocrea