Mind the gap

di 2bePOP - 14 marzo 2013

mind the gap1Un cervello a contratto e un cuore contratto. Esseri particellari, atomizzati e abulici. Sovente il nostro scaldarci è un rogo per qualcun altro.

E’ il ritorno, l’eco che è altisonante. Noi siamo la pancia, la gola e la fascia del cuore. Al ritorno di muffa. Autocitazioni: save me.

Poi non ce l’ho con nessuno io, cioè non mi rivolgo proprio a nessuno. La storia del lettore di riferimento c’ha sepolti, è tutto lì il problema. Il lettore di riferimento è il nuovo balsamo culturale, il nuovo oppio.

E questo, sia ben chiaro, non è il mio stile.

Qui, in mezzo a questo apparente e innocuo interstizio, sta il pop. Onore al merito. Abbiamo ceduto, chi mai ce ne vorrà? Autostrade di paranoie, che trattiamo con amore come figli nati male. E ancora, muffin di tabacco per momenti di dolcezza. Siamo cresciuti con le scarpe senza lacci, riflettiamoci pure.

Mica poi parlo di chissà cosa, sto parlando dell’arte, non del New Deal emotivo. Quella non è roba per le mie battute.

Insomma, quando si tratta di sciogliere i nodi interpretativi, la sensazione è che eravamo nelle sue mani, in quelle dell’arte, e ora restiamo suoi nelle nostre pance, dove pensiamo nessuno veda. Altri e l’altro in generale, l’altro fuori dall’intimità. Di che parlo in definitiva? Del pop surrealism, dei bodybots, dei dresskeleton e della systematugy? Anche si. Avverto una specie di crepa e rischio di smagnetizzarmi, più e meno. Questo non è pop. Ma vorrebbe diventarlo (puntodidomanda).

E’ il corpo che cambia, è in trasformazione, caro Piero. Il corpo espanso dei technological-dress di Hussein Chalayan, i cremaster-video di Matthew Barney, i cyber-clip di Chris Cunningham, le reinvenzioni iconiche di Bjork e Madonna.­

Prima era il corpo altare, poi il corpo altero, ora il corpo altrove. Il corpo incorporeo. Nessuna presentazione, solo rappresentazioni. L’intreccio incomprensibile che giace sul fondo dell’arte contemporanea non lo si scioglie se non col terzo occhio.

Passando a carrellata attraverso l’apertura del campo d’azione dagli anni ’60 ai giorni nostri: teatralità, performatività, tableau vivant, corpo collettivo, relazione fra interno ed esterno, funzione del suono, relazione corpo/ sfondo (il paesaggio), movimenti di macchina, globale/locale, la differenza, l’esotismo e il colonialismo dello sguardo: Manon de Boer, Resonating Surfaces; corpo collettivo e corpo individuale; il ritratto di città attraverso una persona: Suely Rolnik, la sua relazione con Deleuze e Guattari, la sua funzione nell’ambito del tropicalismo e del percorso di Lygia Clarck in particolare; Carsten Höller – 7,8 Hz – (2004-2005), fra esperimento ed esperienza: dal corpo dell’artista al corpo dello spettatore. La relazione fra spazio e corpo, architettura esterna e architettura interna (l’attacco al White Cube).

Pare che io sia in preda alla sindrome di Tourette.

Cicli di notti, sogni in bianco. Mi rifiuto del tutto, non è I wolud not prefer to.

Senza tempo, con le estremità palmate, non cammino e non afferro bene. Sudo eccessivamente, mi affatico da ferma. Stazioni malsane, fumi d’acero e fiumi di spirito. Certe cose sono così, bisogna sentirle. Tutto è corpo. Come il punk. Visioni e punti di vista generativi. A frattale, nessuna Nevskij Prospekt in galleria.

Laura Migliano

 

  • francesca mazzotti

    non so se mi sbaglio o meno…ma l’immagine che avete utilizzato è di Alessandro Bavari?

  • Laura

    Si, è sua.