James Pants: astrattismi tra disco e hip hop
di 2bePOP - 19 dicembre 2012
La questione è razziale. No, nessuna xenofobia. Il fatto è che Wallace e Costello nel loro antropologico e semiotico libro “Il rap spiegato ai bianchi” hanno tentato di far capire ai non afroamericani le frontiere di quella che si sarebbe potuta definire urban-folk-music degli anni 80. Oh, ma sono passati tre decenni, sveglia. Vanilla Ice era un cagnaccio, ok. Ma come la mettiamo con i Beastie Boys?
Il rap bianco, anzi l’hip hop bianco non solo non è tutto simile, ma ha addirittura trovato una direzione meticcia che ha finito per influenzare anche i legittimi proprietari di quel verbo. E se i Body Count sono l’esempio del nero che si stinge, o meglio che si intinge, la massa del rap italiano di nostrano ha o soltanto la lingua o anche le 31 pecche e similari. Però c’è da capire che il crossover, parola designante un genere a sé nella golden’era dei 90, è il crocevia che un trentennio prima ha condotto la race music, la musica di razza nera e americana, ad arrivare in classifica.
Parola d’ordine meticciato, dunque. Ma a cosa serve? Tutto questo panegirico per introdurre James Pants. Ed era comunque necessario. Il polistrumentista, dj e producer è la chiave di lettura più contemporanea di questa tesi. Che genere suona? Ebbene sì, si può chiamare hip hop. Come, ma se dentro c’è italodisco, elettronica, tropicalità, pop e altri intrugli, domanderà il purista? Ah, purista mica ti dovremmo chiamare Matusalemme.
Il fatto è che il metodo è, decisamente, doppia h e presuppone un’apertura mentale che agli oltranzisti, purtroppo, manca. Se ne esce, tranquilli che se ne esce. Peccato che questi conservatori abbiano perso quel gran bel magazine che era Superfly. Il nome Curtis Mayfield gli dovrà pur dire qualcosa, e che cazzo. Comunque la redazione di quel periodico era davvero fissata con un’etichetta discografica, la Stone Throw. Ed è per loro che ha iniziato ad incidere il signor pantaloni.
Avanguardismi del bum-bap che erano selezionati e scritturati da Peanut Butter Wolf, un altro uomo bianco dedito al meticciato sonoro al quale si deve la scoperta di un tale Madlib, ovvero l’acqua calda del rap e del jazz di epoca contemporanea.
Questo è il riassunto. Per una ricerca aggiornata basta procurarsi almeno i tre dischi di James Pants e si capirà se l’astronave in viaggio verso il futuro può ospitarvi a terra o lasciarvi al semaforo della nostalgia.
Manca la news? Ebbene pare che il dj, in viaggio nella nostra bella Italia per un set meneghino organizzato da disco/nnect, si sia lanciato in una dichiarazione epocale. Sembra abbia firmato con l’accademy della Red Bull per iniziare la direzione artistica di una radio nella quale condurranno spazi Amnon Tobin e gente di questo grosso calibro.
Insomma il crossover si fa strada, anzi apre altre strade o strade altre. Prima o poi bisognerà spiegare l’hip hop anche a qualcuno che bianco non è magari. Ma molti sono già oltre il vecchio folk-rap, e si sente.
Stefano Ccuzzocrea