Il nuovo album di Killacat? Lo capiranno tra 5 anni
di 2bePOP - 3 maggio 2017
“Tutti quelli che dovranno promuoverlo, invece, dicono che un disco così è DIFFICILE da promuovere, perché boh… la domanda è sempre ‘bello, ma quindi che genere è?’. Io voglio sempre rispondere: Genere bella musica, cazzonesò, dai seriamente… che minchia ce ne frega del genere?”.
Questo status è apparso pochi giorni fa sul profilo di Gheesa, Musicista siciliano trapiantato nella multietnica Milano ed orami elemento di spicco di Macro Beats. Musicista (perché chiamarlo producer è riduttivo) che troviamo dietro a “Quando toccherò terra”, il primo album di Killacat, in uscita il 12 maggio 2017 per la label del Nostro Macro Marco. Occorre leggerlo con attenzione questo status, perché è molto più di una simpatica provocazione. In qualche modo, infatti, nasconde una verità.
Ma andiamo con ordine.
Abbiamo ascoltato IN ANTEPRIMA il nuovo album di Killacat. Il primo album solista di Killacat. Oggi i ragazzi fanno un disco dopo 5 giorni di carriera. Lui, invece, ha preferito prima calcare i palchi di tutta Italia assieme al fratello Gioman, infuocando le danz e diventando in breve un giovane veterano del reggae italiano. La combo catanzarese ha dato alle stampe tre dischi e numerosi singoli senza tempo.
Storia. Una storia che conosciamo e che conoscete.
Per cui, andiamo avanti. In tutti i sensi.
C’è sempre un momento, nella vita di ogni artista, che suona come un break even: è il momento in cui tiri le somme, capisci che hai bisogno di fare cose nuove e diversissime e quindi molli la strada facile per ripartire da zero.
Traduzione: Killacat in poco tempo è diventato un capo delle dancehall, ma evidentemente questo ruolo gli stava ‘stretto’, così ha scelto di cambiare. Tutto.
Un paio di anni fa è uscito l’ep Parto da qui, anticipato dal singolo Non c’eri: chi vi scrive sta in fissa totale con quel pezzo. Che hit.
Chi ha ascoltato il “primo” Killacat, quello di pezzi come Pull up e Bun dem per intenderci, è rimasto spiazzato di fronte a pezzi come Non c’eri o come Tienimi in mente. Diversi tra loro, diversi dal passato e diversi anche dalla più “leggera” Quando ti rivedrò (altro cavallo di battaglia del Nostro).
Metabolizzato, lato ascoltatore, il cambiamento, ci si aspetta un disco che in qualche modo sia la naturale prosecuzione di Parto da qui. Il titolo, “Quando toccherò terra”, in fondo è un accomodante indizio del fatto che il lavoro proseguirà su quel mood e manterrà un fil rouge col recente passato.
E, invece, no. Manco per il cazzo.
Metti in play e, una dopo l’altra, ti arrivano in faccia canzoni (occhio a questa parola, se la sono dimenticata tutti questa parola. Ma è il motivo per cui siamo qui, questa parola) con tutt’altra linfa vitale.
Piccola digressione: avete visto il film Zelig di Woody Allen? Quello in cui l’attore si trasforma in ogni scena incarnando un ruolo diverso e strappando risate infinite all’ascoltatore? No? Pazzi. Ad ogni modo, il Killacat di Quando toccherò terra, stimolato dalla colonna sonora di Gheesa, per il suo primo album ha optato per una regia del genere.
Ehm, scusa Gheesa, non volevamo dire “genere”. Anche perché, è vero, un genere non c’è.
C’è un cantante che, talvolta accompagnato da altri autori, tira fuori brani profondi e maturi e decide di stilizzarli con una voce matura. Adatta a ogni contesto, elegante e densa di significato in tutte le sue sfumature.
E poi c’è un musicista che, zitto zitto, stravolge ancora una volta il suono di Killacat e fa qualcosa che per ora mastichiamo con un minimo di incredulità. Perché è qualcosa che non abbiamo mai assaggiato. Fra qualche anno, non abbiamo dubbi, troveremo sto sound in tutti i menu.
Ok, ma oggi? Che cazzo gli raccontiamo ai lettori? Il nuovo album di Killacat ha dentro tutto. Se volete etichette, se siete alla costante ricerca di un porto sicuro in cui identificarvi, probabilmente state ascoltando il disco sbagliato. Ma forse no.
Se volete, invece, stupirvi, siete nel posto giusto.
Non serve più, Come Chinatown, Porta Genova, Alibi, sono solo alcune delle perle di Quando toccherò terra. Voce e musica si fondono, sincronizzate alla perfezione, in un percorso fatto di parole e sentimenti. Di amore per la musica e osservazione delle sfumature della realtà. Interni ed esterni, anima e città, camera e club, sono descritti come parti di un solo ambiente.
Killacat ha un background musicale senza eguali. Ascoltando il disco, sembra di vederlo attento e ben intenzionato nei confronti dell’ascolto di TUTTA la musica: da Pino Daniele a Frank Ocean, da Kendrick al classic Rap italiano, dai cantautori più navigati come De Andrè a quelli più matti e a quelli più Pop.
Eppure – e il bello è proprio questo – entra in ogni brano con uno stile tutto suo. Non ci trovi la minima somiglianza con quelli citati. Ci trovi un ragazzo che ha la consapevolezza di quanto siano importanti gli ultimi quattro-cinque decenni di musica e che ha le palle di metterli di parte per creare qualcosa di nuovo, pazzo, concreto e innovativo.
Caro Gheesa, il merito è anche tuo. E, come mi ha detto qualcuno, se Battisti ascoltasse ‘Porta Genova’ probabilmente chiederebbe il tuo numero di telefono per lavorare con te.
Senza spazio e senza tempo, Quando toccherò terra rappresenta l’altra faccia della musica italiana. Quella che non curante dei giudizi, rivoluziona il linguaggio e riesce ad oltrepassare le barriere per addormentarsi nelle cuffie di chi la ascolta. La qualità di questo disco è anche un’altra: lo puoi ballare.
Il suo difetto più grande? Non ha un genere (vedi status iniziale) e forse ci sarà bisogno di tempo prima di ‘capirlo’. Per noi, però, questo è un pregio perché siamo figli di robe tipo ‘Crx’ e ‘Channel Orange’. Il cambiamento, la musica con un lungo orizzonte di attesa, è ciò che ci dà benessere. Non ci spaventa.
Quelli che la pensano diversamente, dispiace dirlo, lo capiranno tra 5 anni.
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