Hello Again: cosmopolitan chillwave
di Marcello Farno - 31 luglio 2013
C’è una linea. No, non è quella sullo schermo del tuo I-phone, eppure non è il caso di stare tranquillo. Prima che i telefonini prendessero il sopravvento ci si vedeva per strada. Le strade calde di Londra, a fine anni 70, ad esempio, confinavano con i bassifondi americani e ne veniva fuori una moda rivoluzionaria. Strano poi che quella new wave abbia captato altre onde Usa, dove la clash culture stava fondendo le strade con la disco a suon di yo-baby-yo, tra altre urgenze e movimenti di zone erogene. Johnny non faceva surf e l’apocalisse arrivava poco più in là, dove gli afrofuturismi avevano creato il p-funk e Pop era stato il cognome più in voga del proto-punk: lì a Detroit per la prima volta nasceva una musica nera ispirata al sound dei bianchi, dopo anni di ingiustizie e appropriazioni indebite che erano saccheggi, diaspora, classifiche commerciali e re di sto cazzo Presley.
Ecco un piccolo riassunto che lega punk, hip hop, disco e techno in un racconto che ha più filologia del legame che c’è tra la mia laurea e quella di mia mamma, tra il muro del suono di Phill e la cameretta di William Bevan. Ecco la linea. E, mentre arriva un’altra estate, c’è chi ci tiene a dire che Johnny non surferà neppure in questo torrido agosto. Se l’apocalisse è adesso, se il cyberpunk non è morto, se oltre ai vostri cantautori da pd e zipangulo ci portiamo dietro una ricchezza chiamata italodisco famosa più di Albano fuori da qui, dove ha fatto innamorare molta gente che del dio Eros ignora l’esistenza finanche in Spagna, allora è il caso di dire cosa è successo mentre milioni di persone facevano la fila per comprare un telefonino. Perché durante la corsa verso l’alta tecnologia qualcuno ha fatto l’inverso, rallentando campioni di piste da ballo anni 70, delirandoci sopra new wave mai arrese alla gioia consumistica, puntando sulla bassa tecnologia, saturando i suoni tanto da lasciare i fonici alla tv, scrivendo canzoni che pur essendo intrise di nostalgia parlano di noi, ragazzi di oggi noi. Non c’è neanche bisogno di spiegare altro.
Cerca alla voce drugapulco sul tuo wikimondo, se non trovi prova con glo-fi, o chillwave, poi vai su YouTube e cerca di capirci più di un tubo, mentre qui si arriva al giro di boa. L’ennesimo. È finito tutto tranne l’orgoglio di avere un gusto che non è prigioniero dell’autoradio e neppure di Pitchfork. Poi ognuno può scegliere se dar retta alle frequenze dei network o crearne di nuove e spingere la differenza sui social. Libertà, come dice Silvio. Uguaglianza e fratellanza vanno aggiunte per non rinunciare ad altre correnti ben più rivoluzionarie. E allora free download sia. La diamo gratis con più trasparenza di Ruby e meno guadagni, anzi nessun soldo all’attivo, solo voglia di riscrivere la storia prima di cambiare capitolo.
Hello Again è un saluto adatto a dare il benvenuto al futuro, a quello che verrà dopo quest’altro giro di boa. Dietro le note di copertina c’è anonimato da vincolo contrattuale: ci sono difatti nomoni americani scritti sui neon dei grandi teatri della musica, gemelli ombra di altri glitcher italiani come Marco Ricci e Fabio Nirta, due tra i più pazzi account che il tuo Facebook abbia mai addato ascoltando Casa del Mirto o i Daft Punk di noi fake premediali insomma. E il resto della storia merita l’unico futuro possibile…
Stefano Cuzzocrea
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Sono giorni strani, o almeno, non ci capisco un cazzo. Il disco me lo passa Fabio, in una chat oceano mi scrive una di quelle cose che ci diciamo sempre, sulla musica, le trovate, le troiate, il sentimento, poi mi manda questo link, a mille all’ora. Ho gli occhi rossi. Più indietro. È il 10 Giugno, in autogrill ogni panino costa un rene, va bene che il tempo medio trascorso da qualsiasi terrone sull’A3 è una cifra a triplo zero, tipo lande del Burkina Faso, ma rimani pur sempre Europa, ce l’hai scritto anche sulla carta, vali quanto qualsiasi inglese e francese, lo sai. Ce lo diciamo in macchina tornando da Milano, io, lui e l’altro, nella fattispecie Robert Eno, con le borse dei vinili che tremano a ogni imbocco, sbocco e deviazione e madonne che se ne vanno verso l’orizzonte. Si parla soprattutto di progetti da imbastire, bassi come mine, Giorgio Moroder e gente che in un passato migliore ce l’ha fatta. Poi Cosenza Sud, un caffè, il vuoto.
Luglio arriva presto. Io ho un segno meno grosso così davanti alla casella dell’umore e ascolto emo 90s per stare ancora peggio. Metto in play. Ogni disco deve passarmi addosso cinque-sei-sette volte, è la prassi. Poi inizia piano, prima buca l’epidermide, poi arriva allo stomaco, poi, come in una pesca, mangi la polpa finché non ti rimane tra le mani il nocciolo, così funziona con le canzoni, quelle giuste e destinate a riempire il sangue piuttosto che caselle di playlist. Hello Again ci mette un po’, precisamente una notte dove sono costretto a scriverne, mi dice Sandro che è piaciuto un sacco lo mettiamo album del giorno, io non so se ce la faccio adesso, potrò provare ad andare di mestiere, ma il cuore, tesoro mio, dove lo lascio? Invece arriva all’improvviso, una scarica, un’epifania. C’è una storia dentro, lo intuisco, lo scrivo e il giorno dopo lo dico pure a Fabio. Lui fa spallucce, non conferma ma nemmeno smentisce. Si trincera al solito dietro una battuta, sorvoliamo.
È estate, o almeno ci prova, e dietro questi tagli di chillwave non leggo né fake né maniera, piuttosto onestà, limpida e sorniona. Il progetto suona bene, internazionale, niente spazio per i soldi, solo artigianato DIY, una connessione flat e un account di Soundcloud senza nemmeno lite pack. Passano i giorni, c’è un amico costretto qualche km sopra a sputare fuori tutto il male che ha dentro, e quel disco continua ad insistere e a frapporsi ad ogni momento, ogni situazione.
Arrivano nuovi pezzi, li ascoltiamo mentre Francesco gioca a fare l’astronauta, ride e sembra voglia cantare sopra queste grosse linee di basso, perché la voce non c’è o quantomeno è affogata e probabilmente è ferma con gli occhi sul colore delle scarpe. Che rimangono sporche, sporchissime, come piace a noi. Ora, non so se questa nuova calura servirà a qualcosa, a dire alzati che è tempo di lavarti, a farmi prender bene l’ennesimo ghiacciolo classico del lido, un succo d’ananas o un tramonto tra questi orizzonti che si aprono qui, oltre lo schermo del computer. Intanto, schiaccio l’ennesimo tasto play di questo abisso. Hello Again come un’altra volta ciao.
Marcello Farno