Diario di un Tano (postilla)
di 2bePOP - 16 gennaio 2014
Scritta in seguito all’incontro fortuito con vari argentini, incontrati a Parigi, nella capitale di Francia. O, per esser più precisi, laddove Parigi finisce e la banlieue, ovvero la terra dei leoni, ha inizio.
Cari e care,
Vogliate accogliere quest’ultimo sospiro, più dall’aldilà che dall’aldiquà, del Diario di un Tano. E’ vero che le scorribande sudamericane sono finite già da un pezzo; né esiste la possibilità che riprendano il corso interrotto, almeno per il momento. Ma voi tutti sapete che gli strascichi del viaggio, specie se è stanziale e diventa soggiorno, sono plurimi e multidirezionali. Io mi sono portato dietro un po’ di mate, ma non lo bevo mai; ho preso diversi libri argentini, ma li ho messi da parte da mesi; con me in casa c’è un argentino, Agustín: e alcuni di voi sanno che le sue tempeste interiori, la sua irrequietezza e i suoi musi lunghi gli stanno portando più male che bene, in questo rifugio alla periferia di Parigi dove le mie giornate trascorrono tra un tram elettrico e una pasta con le sarde. In questi giorni la cute facciale di Agustín erutta brufoli rossi inspiegabilmente privi del cratere bianco. Ha un’espressione da anima errante e in pena, che cerca porti tranquilli e trova solo le solite mareggiate schiumose e brune. Poverazzo.
In tutto ciò io parlo spagnolo maluccio: sto perdendo la lingua. Siamo al crepuscolo? Alla frutta, al caffè, all’ammazzacaffè? Non so: sta di fatto che questa postilla è mossa da una situazione divertente, non dai soliti piagnistei. Anzi, da una persona divertente: Matias, un amico d’infanzia di Agustín, ospite in questi giorni in questo ex porto di mare, già movimentato e ormai al tramonto. A proposito: Roberto se ne va a vivere con Anja, la sua ragazza, e non sarà più il mio compagno di stanza; Dino è andato via già da mesi e ora suo padre non vuole che vada in Australia, ché è troppo lontana; pure Gilles se ne va: cerca casa con un suo compagno di partito, un italo-svizzero. E io? Che ne sarà di me? Tenterò la strada del cabaret, per fare divertire proprio te, con tram elettrici a tinkitè e chissà cos’altro ancor.
Stavamo dicendo di Matías, l’amico di Agustín. Ha i capelli lunghetti e castano chiari, due occhietti vivi ma lenti, da Giufà, e un sorriso da finto scemo sotto i baffi. Non si capisce se ci è o ci fa. Chi per un motivo o per un altro si trova nei suoi paraggi e viene intercettato da una delle cazzate immani che danno forma al suo verbo si prende puntualmente gioco di lui. Ma Matias non sa dire che quelle, nonostante la sua intelligenza sia evidente. E’ come se nel teatrino nomade degli umani – argentini e non – lui sapesse recitare solo una parte; ma che ci quella parte sia comunque consapevole. E’ un ragazzo vitale, parla sempre di femmine e anche lui, come tutti noi, cerca di ammassare quante più esperienze possibili nel bagagliaio della sua fragile ed effimera esistenza. Le scemenze le dice con un’aria solenne e dei toni di chi la sa lunga: con aria di chi ha vissuto. Se in questi giorni si trova a Parigi è perché si trova nel bel mezzo di un viaggio molto comune tra gli ebrei di Buenos Aires. Questo viaggio è una tappa che prima o poi tutti i Liberman, Rotschild e Goldentul dello stato più a sud del Sud America si trovano a percorrere. Lo stato di Israele, la comunità ebraica argentina, nonché varie e non precisata associazioni di ricchi filantropi finanziano viaggi con lo scopo di far conoscere Israele ai figli della diaspora. Così, un biglietto aereo Buenos Aires-Tel Aviv a Matias & co. costa solo 130 euro. Il biglietto è di andata e ritorno, ovviamente; ma Matias, come tutti, cambia le date e prima di tornare nella patria dell’inflazione e del choripán se ne va in giro per l’Europa. Il pacchetto pagato ad ogni modo comprende alcuni pernottamenti, delle guide turistiche che mostrano ai ragazzi i luoghi sacri più importanti ed escursioni varie su e giù per il País. Matias ha l’aria di uno che in sinagoga c’è entrato sì e no mezza volta, ma a tavola, mentre ceniamo, si dà le arie da religioso. Parla con un accento che più bonaerense c’è solo l’obelisco – altro che cosmopolitismo ebraico e discorsi sui cittadini del mondo. Dieci minuti fa ha assunto l’aria seria ma cauta di quello che va contro un’idea diffusa, che pure lui aveva, prima di essere illuminato dal viaggio: “guarda che il giudaismo è una cosa buona. E questi viaggi te lo fanno capire. Non era un viaggio solo religioso, eh? E poi c’era gente che scopava in tenda”. La cena iniziava ad animarsi, e le frasi di Matias risvegliavano le attenzioni sopite dei commensali. Con una quiche lorraine nel piatto, ha raccontato di un’escursione nel deserto nelle terre israeliane: 40 argentini e 8 israeliani, tutti militari. “Ma erano lì solo per un intercambio cultural, non per farci da scorta o per sorvegliarci”. Ha detto di aver scopato con una soldatessa argentina come lui, di Rosario, trasferitasi da quelle parti ormai da qualche anno. Le ha chiesto di mettersi in divisa, perché è perverso. Parlando di Parigi e della metro ha detto che si è eccitato a guardare una ragazza nera e che gli si è rizzato il pisello lì, nel vagone. “E però che le nere di Barcellona sono più belle”. Lui diceva ‘ste cose e Agustín si vergognava.
Ha conosciuto otto argentine in giro per Parigi, stasera stessa, e hanno fatto le foto di gruppo. Poco fa ha scritto dal mio telefono un messaggio su Whatsapp a tale Malu. In realtà mi ha dato il contatto, poi ho scritto io: Hola, soy Matias, el chango que conociste hoy. Sabés, tengo un amigo italiano con una pija enorme (ciao, sono Matias, il tipaccio che hai conosciuto oggi. Sai una cosa? Ho un amico italiano che ha un pisello enorme…)… quest’ultima parte non me l’ha fatta inviare; ha fatto in tempo a strapparmi il telefono dalle mani. Nel frattempo Agustín filmava tutto. Filma sempre, Agustín. Oltre a noi due c’era anche Juán, un cugino di Agustín non proprio loquace. Roberto era al lavoro, Gilles dormiva, Pierre-Ulysse aveva il riporto e quindi non usciva dalla stanza. Così eravamo io e gli argentini, e in testa mia pensavo che ora non ci tornerei a Buenos Aires, ma che queste situazioni mi facevano ridere un casino, in Argentina. Ma che fanno ridere un po’ ovunque.
Ora, è vero che messa nero su bianco la situazione perde dinamicità ed espressioni facciali. Ma immaginate la situazione, perché fa ridere molto: Matias che parla sempre, con l’aria da quello che ci è e ci fa allo stesso tempo; Agustín che ride, un po’ perché è divertito e un po’ per simulare la vergogna per il suo amico; Juan che fa interventi minimi ma che determina la situazione. E io che sollecito Matias a continuare i suoi racconti, chiedendogli di Israele, delle ragazze incontrate e di tutto ciò che mostri la sua filosofia di vita. E questo è.
Me ne vado a dormire. Sono le 00.49 e alle 7, quando ancora sarà buio, dovrò ripetere i gesti meccanici di tre mattine a settimana: spengo la sveglia, faccio il caffè, faccio la pipì, metto le lenti, guardo l’orologio, sono ancora in orario, lo riguardo, sono in ritardo solo di 5 minuti, scelgo il cappotto, mi chiedo che temperatura ci sarà fuori e vado ad affrontare il mondo. Così scorre la vita, da queste parti.
Spero che a voi vada meglio. Vi voglio bene, a tutta la famiglia.
Il sig. Paterniti