Diario di un Tano: lettere dal Sudamerica (# 9)

di 2bePOP - 1 luglio 2013

Un montonCaro Gilles,

Eccomi qui a scrivere delle scorribande e peripezie argentine, dopo un tempo di assenza in cui ho dato respiro a vari amici che sicuramente non ne potevano più.

Come stai? Immagino che il freddo parigino ti faccia una pippa e che la tua propaganda marxista proceda come sempre, contro tutte le avversità. Tu mi dirai che la rivoluzione si può fare anche in sciarpa e cappotto, e che l’ottobre russo non sarà stato tanto caldo.

Come ti dicevo all’università di Buenos Aires ci sono molti trozkisti fricchettoni che ti farebbero girare le balle e che a me invece fanno ridere. Tu diventeresti rosso in faccia e manterresti a fatica il tuo proverbiale contegno, per spiegare dove, come e perché si sbagliano.

Io sono alle prese con la ricerca. Non ho mai mandato tante mail in vita mia, da un giorno all’altro potrebbe arrivarmi una denuncia per stalking da parte del sindacato dei ricercatori riuniti. Quando mi prende l’ansia e non sono sicuro di quello che faccio – ossia sempre – mando mail, cercando conferme e guide che la maturità mi imporrebbe di non cercare.

Oggi è stato un giorno di merda, pieno di grovigli allo stomaco e ansie ingiustificate. Ma ho già preso la pala per spalarla, e fra poco vado a cena dall’ormai famoso Agustín, che come tutti gli argentini non sa dire né “no” né “non lo so”.

Come dicevo qualche tempo fa, ormai vivo in un quartiere figo, Almagro: tanghero, notturno e dai tanti colori, seppure non sgargianti. Vivo l’estate con piacere, dopo essere stato in giro per le Ande e aver conosciuto le zie di Agustín, tra cui la zia Rata (ratta, sì), la zia Gorda (cicciona) e la zia Mafalda. Vivevano in un paesino lontano da qui1300 km, bello ma povero.

Per la prima volta in vita mia ho fatto il bagno alle terme, cercando di aggirare il controllo della sentinella donna che però ha individuato la mia barba ed è venuta a chiedermi il contante.

Ti dicevo che mi viene l’ansia per la ricerca. Un po’ è perché è una mia condizione psicologica permanente. Ma la colpa è anche di quel cesso del mio professore, che da un po’ di tempo non risponde più alle mail. Ne parlavo su skype con i miei, e mia mamma a un certo punto m’ha chiesto come si chiamasse. Io avevo già capito il motivo occulto della domanda, ma quando l’ho vista prendere carta e penna le ho detto: “ma che fai, non è morto!”. Voleva cercarlo su internet, anche se lei internet non sa usarlo (e già è tanto che non dica l’internét). Per le sue ricerche, avrebbe chiesto aiuto a qualche amica sua o a mio fratello, nella convinzione che dietro gli schermi dei computer si nascondano gli archivi segreti della CIA, che tutto sanno e tutto possono.

Tu sai bene che mia mamma è una fonte inesauribile di aneddoti, e che è in grado di salvare molte serate che sembrano ormai perdute. L’altra sera ero a cena da una ragazza romana e mi stavo annoiando, visto che le mie commensali parlavano di assorbenti e dei difetti dei loro ragazzi. Così ho iniziato a raccontare di mia madre e delle sue gesta, provocando facce silenti, attente, attonite e stupite; e anche corpi divertiti, mossi da risate incontrollate. Ho detto dei suoi interrogatori, della sua particolare attenzione al mio rapporto con le donne (che fa tanto commedia siciliana anni ’50) e del suo modo un po’ singolare di esprimere la religiosità. Lei comunque mi ha appena chiesto se ho scritto ancora qualcosa su internét, quindi ora sarà contenta di questa citazione.

Per il resto sto bene. La mia condizione igienica è migliorata, nonostante il rischio di restare senza mutande sia sempre alto. Ho tagliato barba e capelli poco tempo fa, così che sono tornato al capello corto, che con i miei occhiali non sta bene. Ieri ho dormito col cane. Anzi, con la cagna. Si chiama Atreiu, come il bambino pelleverde della “Storia Infinita”, ed è un bassotto. Siamo molto amici, mentre il gatto (che si chiama Astor) mi sta un po’ sui coglioni. Comunque il mio amico Pablo mi ha detto che sono un lordo, cioè uno zozzo. Non compro lo shampoo da più di un mese ma in compenso lo rubo ai miei coinquilini. Spero di cambiare le lenzuola al più presto.

Spero che tu stia bene, che la tua condizione socio-igienica sia migliore della mia e che non fumi troppe sigarette. L’altra volta un’antropologa mi ha detto di una società in cui si dice “fumi come un cinese”. Qua non si dice “fumi come un turco”, ma dopo il mio passaggio potranno dire “fumi come un siciliano”, oppure “fumi come un hijo de puta“. Ho iniziato a mangiare semi di sesamo e di lino, che mi fanno sentire un po’ più macrobiotico e in pace con me stesso. Il tuo caffè Illy è finito ormai da tempo e qui il caffè fa cagare.

Dimenticavo un’ultima cosa. Il mercato nero dell’euro va bene come non mai. Peccato che io adesso non abbia più euro.

Ora, caro Gilles, ti saluto. Vado a cena da Agustín, ché sennò arrivo tardi e faccio la figura del pezzo di cacca, maleducato e villano.

Un abbraccio,

Claudio

P.S. Mia mamma non sarà contenta di tutte queste parolacce.