Diario di un Tano: lettere dal Sudamerica (# 10)
di 2bePOP - 2 agosto 2013
Guarulhos, aeroporto di Sao Paulo, 30 aprile,
Scrivo queste parole dai miei ultimi minuti nello spazio-tempo sudamericano. Sono su un aereo TAM, Il mio culo poggia già su un sedile rosso e attorno a me impazzano hostess belle e imbellettate a chiudere sportelli e ad attirare sguardi maschili avidi e impotenti. Dalle casse incastonate qua e là esce fuori una voce vellutata e meccanica allo stesso tempo, ad annunciare una partenza imminente: arriveremo a Parigi domani pomeriggio alle tre, vi auguriamo un buon viaggio, per ogni evenienza rivolgetevi ai nostri operatori. La signora seduta accanto a me fa foto al marito, lui ride forzatamente. Sono brasiliani, immagino stiano andando a Parigi in vacanza. Tra poco inizieranno a guardarmi male, come un quasi terrorista, per via del mio computer acceso e del travisamento di quella che è solo un’ipotesi, l’interferenza dei dispositivi elettronici con i macchinari che permettono il decollo.
Eccole di nuovo, le hostess, ora offrono caramelle alla ciliegia, alla “seresgia”. Sorridono, mostrano i denti, la cortesia d’ufficio fa spalancare le loro bocche in smorfie ingessate e artificiali.
Agustín, Mauro, Rodrigo, tutti gli altri sono già lontani, nell’Argentina che ho salutato e mi ha salutato. Mi hanno congedato in un coro polifonico di cumbie, saluti urlati, abbracci annunciati e poi disertati, bar pieni di volti alcolizzati, a volte leggeri, a volte allegri.
Di nuovo le hostess. Ora mi hanno consegnato il kit di sopravvivenza, spazzolino e dentifricio in miniatura, prima della cena.
Negli ultimi giorni ho incontrato Mercedes, in un bar di Almagro. Lei, come tutte le persone che mi piacciono nell’essenza, non riesco a definirla. E’ un suo sguardo, che non riesco a definire. Di lei mi porto dietro i sorrisi, i bagni d’amore in un lettone a due piazze e mezzo, i suoi sguardi furtivi e ineffabili. E’ bella, Mercedes,è bella.
So che in Argentina non tornerò presto, lo sento. E però ci sto lasciando pezzi di cuore, è innegabile.
Ho salutato Mariano, con quelle formule fraterne e solenni che in questi giorni si sono ripetute spesso: hasta pronto, hermano, un dia nos volveremos a ver, en algún lado. Ha sido un placer enorme de conocerte, por cualquier cosa tenés alguien con quien contar, e via dicendo. E’ un amico, Mariano. Mi hanno salutato in tanti, in questi giorni. Alcuni erano amici veri, altri lo sono diventati solo nel momento del saluto, ma senza ipocrisia. Sono diventati fraterni, presi dall’unicità del momento. L’hanno raccolta, l’abbiamo raccolta tutti assieme.
In Argentina c’è un vivere comunitario che nei paesi nordici non c’è. È quel vivere che in alcuni anfratti culturali non prevede la presenza dell’individuo, solo lacci e catene comunitari. E’ per colpa di quella cosa lì che non riescono a dire di no: a volte non va bene, a volte fa piacere.
Signore, deve spegnere il computer, siamo pronti per la partenza. Subito, signorina, lo spengo subito.
Due giorni fa sono passato dallo psicanalista, per l’ultima volta. Si è innamorato di me, me l’ha scritto dopo esserci salutati. Aspettava le sedute con ansia, aveva gli occhi lucidi, così mi ha detto. Io non mi ero accorto di niente, impegnato com’ero a scavare dentro di me. Di solito avviene il contrario, sono i pazienti a innamorarsi di quei preti moderni. Mi porto dietro un aneddoto in più, un cavallo di battaglia da conversazioni serali. Proprio lui, con cui ho aperto mente e cuore… Scorrevano flussi intensi, per una volta nella mia vita canali instabili si erano quasi stabilizzati, in quell’ora settimanale che magicamente si moltiplicava per tre. Mi ha commosso, quando piaccio a qualcuno mi sorprendo sempre.
Agustín mi ha accompagnato fino alla fine, lui che sa leggere i cuori. Ho cenato dai suoi, poi siamo andati a casa. Tra i fumi di un paraguayo pressato che è meglio del pressatone albanese mi ha detto che sono un artista del pensiero, e che dovrei rilassarmi un po’ di più. E’ uno dei complimenti più belli che mi abbiano fatto, gli ho detto grazie.
Domani vedrò altra gente, vedrò Parigi, forse pure la primavera.
Lo spazio per le gambe è poco, tredici ore di volo sono troppe. Non ho mai fatto amicizia, sull’aereo, il rosso dei sedili è troppo finto.
Spengo, signorina, spengo subito.
Claudio Paterniti Martello