David Bowie the day next la caduta sulla Terra

di 2bePOP - 26 marzo 2013

david bowieL’aria qui è più leggera. Sono le orecchie a non sentire altro che un brandello di cielo assordante. Sorvolando le città si ha più paura che a percorrerle, con tutto che la cronaca tenta di metterci paura. Se l’uomo impersona dio con l’aldilà delle nuvole, forse è solo il timore di somigliargli. Anche il passeggero aereo più abituale ha un attimo di ansia, ogni volta, mentre compie l’ascensione oppure quando sta per tornare a terra. Una sorta di percorso sciamanico. Simbolismi.

Anche il nuovo album di Bowie ha lo stesso problema. Tutti paragonano questo ultimo nato alla triologia detta berlinese. Giusto, anzi giustissimo. Il riecheggiare di quella saga è palese, anche se con meno freddezza di fondo, se il gelo viene lasciato altrove. Sono canzoni che servono a sbrinargli il cuore. Parole e note che allontanano la vecchiaia e la tristezza del tempo che scade e restituiscono giovinezza, immortalità. Il Duca spicca il volo, quindi, e torna a terra, dunque, incredulo sul se essere angelo o diavolo, incapace di auspicare cosa gli spetti oltre la soglia della carne.

Così decide di far finta che sia tornato all’era della sua Germania. Nell’itinerario di allora, fatto di Svizzera, Francia e un muro ancora in piedi che divideva l’anima della città in due e faceva altrettanto con il mondo, c’era un percorso personale del piccolo e smilzo David. Era tutto ridotto all’osso, anche lui. C’era la fuga dagli Usa e dall’ovvio. Ci stavano demoni da lasciare nella città degli angeli. L’imperativo era mollare la tossicodipendenza a Hollywood e trovare altre strade, le vie del progresso.

Il fallimento lo aveva trovato a ridosso della luna. Eppure si era alienato così tanto da riuscire meglio come attore extraterrestre che come musicista. Bisognava ristabilire la soglia e ancorarsi al terreno.

Ecco perché l’elettronica. Ecco perché un compagno di viaggio, Iggy, con la stessa  esigenza di risorgere dalle polveri. Ma era allora. E oggi anche la coca non è più quella. Oggi il demone è la morte, una morte nuova che non è bianca ma già piena di segni, parole, inchiostri e cicatrici. Ora l’angelo lo si cerca in un suono che fa riecheggiare una città senza muri e la primavera più bella. Ascensione verso la giovinezza ritrovata, prima dell’impatto con il sottosuolo ed i suoi vermi.

Il fulcro sonoro, come l’obbiettivo focalizzato nei testi, è, difatti, il passato. Un passato immortale. Non a caso il web resta fuori dai giochi promozionali. La contemporaneità dell’arte non si muove sulla linea di quell’eterno presente chiamato kronos: l’arte ha altri tempi e suona aion fino a perdere di vista l’orizzonte tra antico e futuro.

Restano, dunque, canzoni alla vecchia maniera per colmare i vuoti dell’attesa. Non si tenta la modernità come altri colossi seminali, tipo i Depeche Mode di adesso, ad esempio: loro cercano di far capire chi comanda, chi detta legge, di salvare la giovinezza e non l’idea vita; e  aveva fatto lo stesso James Brown con I’m Real, imponendosi come legato e autore del rap, prima che l’house sfoderasse un James Brown Is Dead per esautorare il re agendo su altre masse e fonie.

David, al contrario, tenta di ristabilire il sé, senza paragonarsi ai nuovi eroi della musica, senza emulare nessuno. Non cerca ma trova. Guarda la felicità e la rivive. Torna dove ha sconfitto il demonio, ora che lui potrebbe tronare a prenderlo. Ferma il tempo in sostanza, ma non in un eterno presente. Questo Next Day è fuori dal tempo. Non c’è alcun dubbio su questo. Sono sussurri di quella voce elegante mai dimenticata. Un Sax che grida perché ha ancora fiato. Un album vecchio uscito ora, perché vecchio non lo sarà mai. Un Cristo non può morire. E David nessuno osa crocifiggerlo adesso. Non è la pietà cristiana a risparmiarlo. E forse non sono solo gli italiani ad applaudire all’atterraggio, ma il mondo intero. Si tratta ì solo di un disco?

Stefano Cuzzocrea