D come devianza o detonatore
di 2bePOP - 9 aprile 2013
Dicevamo cioè della Devianza, del Divertimento, della Depressione e del Destino
Gli aforismi di scrittori, filosofi, musicisti, inventori, attori, scienziati, nobili, pugili, financo dei giocatori di pallacorda, dicevamo, che, se presi troppo sul serio, non fanno bene. A volte fanno male alla società, altre a se stessi, altre ancora ad entrambi.
“Il vero ladro non è chi rapina una banca, ma chi la fonda” ebbe a dire il buon e vecchissimo ormai Bertoldo. Ineccepibile, ci puoi costruire gli animi barricaderi di generazioni di rivoluzionari su un paradosso così, quale giovane libertario non è stato affascinato da una frase simile.
E’ grazie a questa massima che ogni volta che sento di un assalto a un blindato, ma a maggior ragione se come quello di oggi in Lombardia, da dieci milioni di euro, dichiarati alla stampa, senza feriti né morti, mi sento felice e depresso al contempo. Felice perchè provo entusiasmo e stima profondi per gli autori di questo remake di Robin Hood, mischiato con Le Iene e Point Break; depresso perchè quei soldi non li ho io e perchè se avessi mai partecipato alla caccia grossa, anziché dover pagare per mille cazzate perduranti e mai remunerative, avrei avuto almeno il dubbio se il gioco fosse valso la candela. Ma di Ferrara e del perchè sono qui ne parliamo alla lettera F.
E la depressione non esite, è un’invenzione della Cia.
Ora Dicevamo di testualità della Devianza, che per noi ragazzi pop- be pop- ci siamo rimpinzinati, sin da giovincelli, da quando ci compravamo le copie di Rumore e spolpavamo Pazienza e Nanni Balestrini per non sentirci Invisibili, quando fumavamo prima di entrare al cinema a vedere Natural Born Killers e La Haine, quando alternavamo i CCCP ai primi One Love Hi Powa da cassettina autoprodotta nei centri sociali che occupavamo, quando iniziavamo ad ascoltare Onda Rossa Posse, Public Enemy e Assalti Frontali, anni luce prima della grande truffa del rap nostrano attuale, quando leggevamo l’uomo Lobo e studiavamo gli hobos, ci esaltavamo per William Burroughs, per il subcomandante Marcos e insieme per le gesta della Bande à Bonnot narrate da un ottimo Cacucci, ballando Balla e Difendi a pungo alzato , tristi per i falliti di Jean Claude Izzo ed euforici per gli schizzati di Trainspotting. Poi ci siamo variegati in quanto a gusti, e andavamo a rota per Edward Bunker e James Ellroy con la colonna sonora di Johnny Cash in sottofondo, e per bilanciare ci buttavamo su Daddy Cool di Boney M e Supafly di Curtis Mayfield, italo-americani come il boss di Ghost Dog che parla male dei negri e poi balla il rap di nascosto allo specchio, fino a quando abbiamo capito che 16 Tons di culture mischiate, miscelate, digerite erano finalmente pronte ad esplodere come fuochi d’artificio, innescate come palle di cannone di un veliero pirata. Con ottimismo verso la catastrofe, dal No Future al Tutto e Subito nel giro di un Blow, inneggiando alla Gastronomia Operaia senza saper cucinare nemmeno sotto minaccia di una chiave 18, al posto della Lettera 22 il metodo Kobayashi ben illustrato da Kevin Spacey ne I Soliti Sospetti- Kaiser Sose rules-, Re di New York senza esserci mai stati, provando Paura e Delirio non solo a Las Vegas, in perenne attesa di poter mostrare a Bruce Willis di aver imparato alla perfezione la mossa Kansas City anche se non eravamo nel cast di Slevin, bevendo tanto alcool quanto Brad Pitt nella veglia funebre di TheSnatch e incastrando le nostre giornate come se fossimo attori di Lock e Stock, mentre studiavamo all’università pressapoco come Method e Redman in How High.
Poi è arrivato Facebook, e il poserismo voyeuristico assoluto e imperante ha preso il comando del gioco dell’esibizione dell’esistenza, per regalare a tutti i famosi 15 minuti di popolarità di Andy Warhol che sono scesi ai pochi secondi che bastano per un post o un tweet- del mio Neoluddismo a riguardo invece si vedrà alla lettera alla N.
Quindi Dicevamo D come Devianza, ma legata in me indissolubilmente ad un edonismo di fondo che superava in un solo folle balzo tutte le rivendicazioni di giustizia che il mio background poteva rivendicare. Nato negli anni’70 ma figlio adottivi di quei 90′s che mi hanno fatto cogliere la parte più yuppie della volontà di sovversione sociale. Una spinta libertaria che rivendicava seta per tutti, di mozione champagnista, quello che ho sviluppato nel mio bel crescere. Di ideali di sinistra e di bisogni di destra. Mio padre me lo disse che ero davvero giovincello, a 13 anni, la sonata l’aveva capita, u sapi unni si cucca u sceccu- che in italiano non rende. Dall’antifascismo all’anti-pauperismo militante, cercando di scacciare gli eccessi ossianici con dei comportamenti tremendamente pimp, il tutto condito da dosi giuste di sesso, ganja e rock’n roll, che in realtà per circa dieci anni, per me è stato il reggae, sempre per la solita fissa di conciliare cose apparentemente o sostanzialmete opposte, alla ricerca del bilanciamento del tao della vita.
Ma tanto Divertimento ti porta tanto in alto, in zona Icaro, e poi ti rilancia giù sul selciato, troppo volevi e nulla stringi, benvenuto nel regno della Depressione, da sostanze e da esperienze, eccoti lì a leccarti le ferite che ti sei inferto da solo, facendo e soprattutto strafacendo, in tutto e per tutto. Hai 29 anni e pensi di essere finito, hai fatto di tutto, dal buttafuori al giornalista, sei tornato a Catania dopo 5 anni milanesi, di lavoro e delirio, cerchi di rilanciarti e apri un negozio di vintage strafigo nella tua città, tutto pezzi di modernariato e frammenti di vita, le bottiglie di Dalì che si salutavano ogni giorno col poster del Monellodi Chaplin, una foto inedita di Bob Marley in groppa alle spalle di un graffito raffigurante te stesso, amici, musica e allegria, e, quando tutto sembrava andare per il meglio, mandi tutto a puttane, nel peggiore dei modi.
Dicevamo che sarà che ognuno ha un Destino. Se guardo una qualsiasi guardia carceraria, ma anche non, mi viene un’irrefrenabile voglia di riesumare la salma di Lombroso solo per baciarlo in fronte. Se non avessi vissuto tutto ciò non avrei mai fatto lo scrittore, perchè il vanatggio l’ho dato alla vita e quindi anche alla letteratura.
Io devo scrivere, predestinato ma procrastinato, contro le apparenze, ma forte delle esperienze, e ho deciso di farlo quando mi sentivo spacciato e pensavo di non poter dedicarmi più nulla se non a farmi scorrere addosso le conseguenze di quello che ho combinato. Ma le parole, come i libri, sono magiche. E non lo dice Harry Potter, stavolta.
Le parole sono molto importanti, no Nanni? Scripta manent. In tutti i sensi.
Ho fatto imbrattare centinaia di fogli in decine di questure e caserme, in decine d’anni, a migliaia di scriba dalle scuole improbabili e ogni volta che scrivono su di me, sono danni.
A ‘sto giro scrivo io, e stavolta sono gioie. E talvolta gioielli. I’m the voice, ma su cartaceo.
Ieri ho visto Gesù e mi ha detto che sono io sono il verbo.
No, il mood non è esattamente questo, ma quando mi metto su carta, la vita mi risponde presente.
What a Wonderful Word.
P.s.: Il pezzo di domani giustifica quello di oggi. Sarà infatti la volta di E, come Egotismo as a Fine Art.