Cetraro-Guardia: 2, fuori casa, paradossalmente…

di Stefano Cuzzocrea - 13 gennaio 2013

brunori2Conosco Dario Brunori da quando eravamo due liceali. Ieri ho visto l’ennesimo live della sua Sas e mi sono venute in mente mille cose. Dunque, prima di cambiare prospettiva, per via della mia pluralista incoerenza, ho deciso di appuntarmene un po’.

Comincerò dagli imperfetti: da come eravamo. Due coglioncelli pieni di se stessi, o almeno presuntuosetti, come tutti i ragazzetti di 15/16 anni. Lui era un virtuoso chitarrista metallaro, io un rapper eversivo, facile quindi che la musica fosse terreno di scontro, essendo la mia urgenza in attrito con la sua disciplina.

Ebbene, ci siamo rincontrati anni dopo. Il liceo lo avevo finito 10 anni prima. Lui aveva appena allestito uno studio di registrazione, lo stesso dove poco più tardi ha inciso il primo e il secondo disco; io avevo appena scelto, per la seconda volta nella mia vita, di essere single. Insomma, ognuno a nostro modo stava investendo su sé stesso. Dario era imbiancato precocemente e mi c’è voluto un po’ per capire il perché. Quella sera l’ho trovato cambiato. Mi ha subito chiesto scusa per un episodio avvenuto durante una assemblea d’istituto, una di quelle assemblee che diventano concerti di band locali. Lo avevo completamente dimenticato, lui no. Tant’è che in quell’occasione mi ha presentato la sua compagna, Simona, e lei non solo sapeva di quel dissidio giovanile ma addirittura era custode, da tempo, del rammarico del suo uomo e dell’intenzione di farsi perdonare.

Era successo qualcosa nella vita di quel ragazzo. O forse, più semplicemente, aveva scoperto quello che Solomon Burke chiamava il potere segreto della musica.

Quell’anno è stato importante per entrambi: lui ha sfornato il suo primo e fortunato album ed anche a me non è andata male, difatti ho iniziato a scrivere anche per Rolling Stone e Rumore. Erano i sogni di due ragazzi che si avveravano, mente stavano diventando uomini.

Da allora ho un rapporto combattuto con Brunori. A parte il fatto che i miei baffi vengono spesso scambiati per un segno di devozione; tant’è che quando ha deciso di tagliarseli ho pensato subito che non era più il caso di pagare un’estetista-killer per farlo sottoporre, nel sonno, all’elettrocoagulazione; in più io odio i cantautori, soprattutto quelli della sua nuova ondata, ma lui mi commuove, non ci posso fare nulla.

E’ brillante, conduce i live come nessun Pippo Baudo ha mai condotto Sanremo. In più ha una spontaneità, vera o presunta, nello scrivere, che gli consente di mettere in scena piccoli film, un tantino retrò a volte, ma che hanno la stessa valenza narrativa e poetica del la miglior commedia italiana. Insomma, se pure appartiene ad una tribù sonora, o meglio ne è una sorta di capostipite, riesce ad incontrare, stranamente, spesso il mio assenso, tacito o plateale che sia.

Mi ha addirittura fatto sospettare di essere diventato uno di quei campanilisti che odio. Ovviamente lui non c’entra nulla, nel senso che non ha mai intrapreso una discussione per convincermi; anzi non si è neppure offeso quando l’ho definito “la versione maschile di Arisa”, in un mio vecchio articolo.

Tutto questo fa parte della normalità che vive e canta, di quel piccolo universo di provincia, però non provinciale, che ha fatto riscoprire a un mare di gente, portandola a bagnarsi nelle acque di Guardia. Una sorta di effetto termale, visto che è forse portabandiera di un trend. Che poi mi piaccia ridere di loro, tant’è che anche qui li ho definiti cantautori della nuova ondata, paragonandoli al potere innovatore della new wave in maniera lessicalmente paradossale.

Per chi mi legge abitualmente, credo sia ormai nota la definizione che ho coniato per loro: “zipangulo rock”; ovvero chitarristi da falò, che venivano pagati in birre nazionalpopolari e fette d’anguria (in dialetto zipangulo ndr), ora convinti di essere il futuro della musica.

Eppure la sua musica mi commuove. Lui mi fa ridere e le sue canzoni mi commuovono tantissimo. Ne ho parlato anche con uno psicoterapeuta, anzi forse più di uno; ma non di quelli convenzionati con l’Ordine. Piango insomma, cioè trattengo le lacrime ma in cuor mio lo so che piango: mica mi prendo per il culo da solo: non sono malato, dico davvero. E neppure soffrò di campanilismo, anzi non me ne frega un cazzo manco della patria e della Nazionale di calcio. Insomma come direbbe lui non sono religioso.

Il pezzo che mi ha toccato per primo le ghiandole lacrimali era Come stai, ma non perché stessi male: era quel “Come è triste Natale senza mio padre” a farmi commuovere. E c’è da dire che il mio papà è vivissimo, dunque non è per via dei soliti specchi narcisisticamente emotivi. Ragionandoci è da quel momento che Dario si è (ri)scoperto uomo ed è imbiancato, forse è stato più il signor Bruno che Salomon a fargli scoprire il potere segreto.

Fatto sta che ieri sono andato a sentire un suo live e sono rispuntati i miei tormenti, oltre alle lacrime abilmente trattenute. Lui ha fatto ridere la platea mille volte, è un simpaticone. Anzi, ieri era più abile come show man che come cantante: non aveva voce, dopo gli estenuanti tour. L’ho trovato diverso. Sarà che siamo di nuovo gemellati per via, questa volta, di un male comune, l’esofagite da reflusso, e non potendo bere alcolici abbiamo perso qualche kg, ma era ginnico. Cazzo, ancheggiava come Elvis. Una cosa eversiva per lui che di eversivo, oltre alla normalità, ha all’attivo solo un pezzo: Animal colletti. Quel brano l’ho mandato in veste di dj una volta, in una specie di ristorante, e il proprietario mi ha detto di non passare quei pezzi così punk.

Cetraro-Guardia è finita con una vittoria fuori casa, ieri, insomma, ed anche questo è paradossale, a livello geografico almeno. In quanto a me e alla mia dicotomia invece è finita malissimo: c’era la mamma di Dario in prima fila, e lui ha cantato Bruno mio dove sei, dedicandola al padre. Commovente fino al punto che verso lacrime sulla tastiera anche adesso. Poi è partita Guardia 82. Immediatamente il cielo è sempre più blu, dopo i momenti bui. La quiete dopo la tempesta nella vita di uomo.

E ne ho goduto, soffrendo, anche io. Per fortuna, infatti, i miei stati di coscienza alterati sono terminati subito dopo, sulle note di Rosa. Se non esistesse la musica di merda sarebbe tutto troppo complicato.

 

Stefano Cuzzocrea

 

 

 

  • Maria Grande

    Credo di capire quello che hai provato. Dario Brunori è un personaggio autentico, mi è rimasto dentro dalla prima volta che l’ho visto a Lamezia al teatro Umberto, penso sia stato il 2009. L’ho rivisto in altre occasioni, un primo maggio forse 2010. Lo scorso anno poi l’ho rivisto in “Brunori senza baffi” ed in un “cadeau” durante il concerto di Dimartino: bastò poco e folgorò anche una mia amica. Credo di poter asserire con certezza che il personaggio in questione crea dipendenza. Da quel giorno, la mia amica si mise a fare ricerche dei suoi video sul web ed io dalla prima volta che l’ho visto, non riesco ancora a smettere di rincorrere un suo concerto. sarà quel suo modo ironico/autoironico d’intrattenere il pubblico, quel suo essere un artista completo, autore, cantante, musicista ed intrattenitore e perchè no? Il suo bel fascino, non vedo perchè dovrei nascondere che entrambe lo troviamo anche un bell’uomo, ma la cosa più importante con la quale credo ci abbia toccati maggiormente penso sia quel potere segreto della musica, definito tale da Solom Burke che citavi anche tu, che altro, penso, non sia che la capacità di trasmettere delle emozioni perchè le emozioni che lui ci racconta le ha veramente vissute. (M. A. G.)

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