B come better
di 2bePOP - 4 aprile 2013
Ci sono ricaduto. Nell’ossimoro.
Di mattina a entusiasmarmi per gli Este. Tra i loro pranzi luculliani e le loro segrete assassine, a figurarmi volti, passi, abiti e calzari di uomini e donne trecenteschi, di una casata nobiliare feudataria del papa, di figli incestuosi e padri da 800 figli. Perdermi nelle decorazioni grottesche e ritrovarmi nelle pitture murali che raffigurano lotte e altalene, nella cripta calvinista e nei racconti dei primi virgulti anticlericali, a combattere fianco a fianco con le masse che si affacciavano alla finestra della storia squartando gli affamatori del popolo e dei signori che edificavano castelli a mo’ di deterrente. Inizio con la solita tiritera mentale.
Ho sbagliato tutto. Dovevo nascere negli anni ’70, ma dell’età comunale. Sfidar a singolar tenzone cavalieri impavidi e disquisir di lettere e filosofia coi dotti del tempo, forte della mia favella spedita e del mio involucro muscolato. Inseminar damigelle e non poter ricorrere né all’aborto seriale né alle diagnosi di malatie veneree. A commissionar palazzi del divertimento puro, con un occhio all’astrologia e l’altro ai simbolismi neoplatonici, con fare mecenatesco e ardire da condottiero. Vorrei avere una virgola di Pazienza per rappressentarmi così. E invece eccomi qua, dopo solo due ore, in a Better Point. Un luogo migliore? Dipende dai punti di vista.
Sotto casa, peggio di un posto di blocco, perdo un’addiction per acquistarne due, gambero dell’esistenza, e cado puntualmente tra le grinfie del centro scommesse. L’umanità che lo popola non potrebbe essere più idealtipica, per dirla col mio amico Max Weber, lui si di vecchia data: esistono dei miei manoscritti con le lezioni di mamma che lo riguardano, risalenti ai miei 6 anni. La seguivo, o mi trascinava, fate vobis, in facoltà e scrivevo tutto ciò che sentivo e leggevo alla lavagna, assai più pignolo di come sarei stato negli anni a seguire tra i banchi scolastici ed universitari.
Dicevamo, bestiario da Better. Il Guercio, il Baffo, il Cesare, lo Sbarbato, Occhi di Ghiaccio, tutti lì, solidali come partigiani che cercano di resistere alla crisi mondiale rischiando i propri averi, con una mano al portafogli e l’altra sulla coscienza, puntando sui campionati dell’Oman, sull’hockey delle Filippine e sul tennis femminile giocato in terra verde, ultima offesa cromatica degli yankee al senso del pudore. E’ una febbre. Se vinci una volta sei fottuto. Già fai i conti delle tue vacanza alle Galapagos e ti vedi ricco e dispensante consigli ai più giovani, assumi la terminologia adeguata e fai amicizia con il caleidoscopio delle etnie da picchetto, godi vincendo, soffri perdendo, e vivi sperando.
Per completare il bilanciamento, dopo pranzo sono stato in Biblioteca Ariostea, a terminare il Complesso di Telemaco di Massimo Recalcati, consigliatomi da mio padre Ulisse di ritorno dal mare.
A ristabilire l’ordine, per fortuna c’è il pub sotto casa. In cui non posso prendere l’aperitivo oggi perché ho scoperto di essere intollerante a tutto- maddai?- e di poter mangiare, per tre mesi, solo ornitorinco lessato e brodo di giuggiole. Mi consolo con l’iconografia della casa: decoupage murale che accorpa Eward Bunker, Bob Marley, Totò Fidel Castro, Arancia Meccanica, L’Odio e Rino Gaetano, fra gli altri. Sono contento, ho trovato un posto che mi piace. Fino a quando non vado nella saletta, in cui campeggia una bacheca con una cinquantina di stemmi e spille naziste, accanto ad adesivi Gegen Nazis e Trojan Skinheads. Vabbè che dovevo fare l’antropologo, ma qui, l’unico che viene in soccorso al mio svenimento è Battiato, che normalmente non reggo, e il suo Centro di Gravità Permanente.
Gianluca Vittorio