Azealia Banks @ Milano (live report e divagazioni sul tema)
di 2bePOP - 15 maggio 2013
Avevano ragione i greci. Sarebbe infatti auspicabile un nuovo politeismo prima che rimangano solo divinità impolverate e sommosse necessarie. Madonna ha le ore contate ad esempio. Perché? Ci sono più buone ragioni per crederlo. La prima è attinente al reparto geriatrico, anche se lei è da anni che fa il bagno sulle spiagge di Coccoon. La seconda è relativa alla sua fanbase: i gay al concerto milanese di Azealia Banks sono più del 70%, donne a parte si intende.
Ma i motivi salienti, sebbene quelli esposti siano essenziali e non sterilmente ironici, sono ben altri. Anche se i santi del pop, regina madre in testa, sanno rinnovarsi e imbottirsi di botulino i dischi e l’equipe più delle gote, i linguaggi cambiano. Lo sa bene Mentana che ha detto addio a Twitter: un social che la giovane Azealia ha fatto arma contundente per farsi largo a suon di trollate inferte più che ricevute. I troni traballano insomma. Ed in questa ennesima dinamica il rap ha avuto un ruolo basilare. La lenta erosione dei lidi certi si sta compiendo. E, dopo aver cambiato il modo di far musica lasciando in eredità il sample al vecchio mondo da classifica, è tempo di bilanci ancor più seri di cifre ordinali in rima con Grammy e dischi d’oro e altri bling bling.
Lei è una dea in sostanza. Una dea tanto comune da parlare anziché cantare, per dirla in modo retrò. Una che sa essere un sex symbol giovanile anche portando la prima di reggiseno (il tasto più deludente dello show potrebbe essere il decolté trascurabile quanto il riportarne la notizia, ma è adorabile scatenare le ire delle femministe dopo le Ministre preferite dell’onorevole o deplorevole Bocchino).
Per stare nell’Olimpo dei grandi, la giovane Banks ha già tutti i crediti, ed ha anche un cognome a prova di spread se è per questo. E pensare che non ha inciso neanche il suo primo album ancora. Anzi ha già detto che ne farà un paio entro l’anno e poi mollerà il rap: “un genere troppo poco femminile”, dice. E intanto colleziona inviti nel mondo della moda: Karl Lagerfeld l’ha invitata a cantare in salotto di casa sua, Nicola Formichetti ha selezionato una delle sue hit per la sfilata di Thierry Mugler, Alexander Wang l’ha scelta come volto per la sua collezione T, la casa cosmetica MAC l’ha scritturata per la commercializzazione di un rossetto limited edition chiamato Yung Rapunxel. Può bastare per una pollastrella del 91 senza ne petto e ne’ coscia, per dirla con Giancarlo Amadori, no?
Si presenta con un vestitino da ciclista a Milano. Un look che richiama molto più i Technotronic che i Goldrake in gara per il Giro d’Italia. L’ottica è difatti un rispolvero di quei 90 dimenticati. La chiamavano hip house e tornerà di moda. Ma lei ci aggiunge un retrogusto di giungla urbana e di bass music contemporanea che trasforma lo spettacolo nel party di Zion di matrixiana suggestione cinematografica. Brava assai. E la gente esulta, canta, suda, la ama.
L’assetto è quello che già M.I.A. aveva ciulato alla prima Ciccone: due ballerini a farle compagnia sul palco. Di contorno c’è un dj, emblema di questa sacralità post-settanta che ha fatto della consolle un altare e della dance un nuovo culto al quale tante zone erogene si rivolgono in un ballo che non più machista da quel dì. Ecco lei è maschia. No, non si tratta di sessualità ma di risposte concrete ad una nuova sociologia. Addio sesso debole. E neppure ci si sgretola in posture e lessico alla Lil Kim: il fascino non è roba da marciapiede, è femminilità rinnovata come il mondo che Mentana e Vasco non sanno sopportare, riconoscere e neppure usare.
Azealia, questo è il punto, non deve sforzarsi di adeguarsi ai tempi: sono i suoi questi tempi ed a prescindere. Lo conferma la platea: arrogante come la sua generazione. Lo ribadisce il fiato: che le regge per 50 minuti nei quali non lesina respiri e grida. Lo statuisce quel suono che la compagna di scuderia Lady Gaga ha reso celebre, ma senza questa finezza; lei al contrario plasmerà il decennio a seguire. Di questo si può starne certi. Si nutre dei classici che ballavano i suoi genitori, e i predecessori avevano fatto lo stesso con il soulfull classico. Tanto che viene da chiedersi se il vero cattivo gusto non sia oggi la nostalgia tanto trendy.
Il resto è hype. Moda? Qualcosa in più: qual qualcosa che passa per Twitter e Youtube e fa diventare chic e prelibata la cacca lol. Però sul talento di Azealia non si discute e dunque non tutto l’hype vien per nuocere: sarebbe stato meglio che fosse rimasta chiusa in un cassetto con tutti i suoi sogni come la tua sorella maggiore o le donne immortalate nei film di Muccino? Ti ho visto su Facebook, caro censore, e continui a non piacermi neppure in foto. Sarà che so guadare oltre l’avatar se pure ho quasi 40 anni; insomma faccio come Madonna ma non ho i soldi per ingaggiare Pharrell.
Però mo’ basta con sti nomi emblematici che se no spuntano n’altra volta anche i Daft Punk e le Veline oltre alla Banks. Qui, anche grazie a lui è, comunque, nata una nuova stella cometa. Ne riparleremo a Natale magari: se non sarà un disco d’oro potrebbe essere di incenso o di birra. Ma il live di ieri a Zion è stato, certemente, una gran sbronza collettiva anche senza Nio. Del resto i tempi cambiano e le stelle diventano polvere prima o poi. È il ciclo naturale che vorrei per il mondo (cit.). Ai postumi l’ardua sentenza.
Stefano Cuzzocrea