I Minnie’s e il loro “Ortografia” in un’intervista
di 2bePOP - 14 febbraio 2013
Si parte raccontando il disco nuovo e si finisce a parlare di scena, passando per Morrisey, i Finley e la libertà che è meglio avere a discapito di uno stipendio fisso. “Ortografia” esce proprio oggi, che è San Valentino, e in effetti a pensarli degli emo datati con qualche ciuffo grigio non sbagli. Perchè i Minnie’s sono di quelli che fanno movimento per il movimento since 1995. E però sono ancora vivi e con le palle dure in mezzo alla marea, così dure che sembrano nuove se poi dicono che adesso, dopo un magheggio andato a male su major, vogliono ricominciar da capo. Mettersi in discussione con un disco bello, forte e vivido come questo. Fuori in free download e vinile limited-edition per la combo To Lose La Track / Fallo Dischi / Neat Is Murder. Ne abbiamo chiacchierato con Luca e Viole, in un pomeriggio che a Milano passavano le ambulanze e loro erano di turno in ufficio. C’era anche Yuri, in collegamento dal Brasile, ma Lula e l’adsl gli hanno remato contro.
Come state? Siete gasati, carichi, come vi sentite?
Luca: Si si, di brutto. Perchè ci piace considerare questo a tutti gli effetti come il primo disco dei Minnie’s, nel senso che è come se avessimo cancellato tutto quello che abbiamo fatto fino ad oggi, perchè c’è stato un cambio di formazione importante, abbiamo una nuova bassista ed è il primo disco che registriamo anche col batterista col quale suoniamo da oltre due anni. Ci abbiamo messo pochissimo per scriverlo, nel senso che l’autunno scorso ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto dai facciamo un disco nuovo e ad Aprile eravamo già a registrarlo. Ci abbiamo messo di più per mixarlo e masterizzarlo ma questo perchè, come puoi immaginare, adesso pubblicare un disco di qualità costa un sacco di soldi. Noi abbiamo deciso di farlo, siamo dei pazzi, perchè la gente non ascolta più i dischi, ascolta solo i pezzi, ma ci tenevamo a farlo in un certo modo. Per questo siamo andati a registrarlo alle Officine Meccaniche, lo studio di Mauro Pagani, con ampli analogici e vintage, tutto in presa diretta, a tratti anche improvvisando senza clic.
Ma poi questo fatto dell’uscire oggi, che è il giorno di San Valentino?
L: (ridono, nda) In realtà è tutta colpa di Luca Benni di To Lose La Track (label che insieme a Fallo Dischi e Neat Is Murder coproduce il disco, nda), che è un romanticone ed è in una fase della vita che sente i piccioni viaggiatori che gli mettono nelle orecchie queste idee, e quindi noi l’abbiamo seguito. Storicamente noi siamo sempre usciti coi nostri dischi in corrispondenza di un cambio di stagione. Quando abbiam fatto “Un’estate al freddo”, nel 2003, è uscito il 21 Giugno, e poi cosi via per “L’esercizio delle distanze”, che era uscito in primavera. Di sicuro c’è che ci piace l’idea di legare l’uscita di un nostro disco a un momento particolare, e di sicuro San Valentino era quello più vicino, dai.
A proposito, facciamo un esercizio di memoria. Nel 2010 la Universal decide di ristampare “L’esercizio delle distanze”, succede che vi ritrovate catapultati nel palinsesto di diverse radio mainstream. A ripensarci adesso com’è stato? Cosa vi ha lasciato un esperienza, una botta come quella?
L: La sfiga di quel disco è che è andato benissimo nella prima edizione, prodotta da Sangue Disken, e poi da lì ci siamo guadagnati la possibilità di ristampare con Universal. Quello che avrebbe potuto di buono portare una cosa così, non è arrivato non tanto per colpa della label, ma perchè il nostro manager di allora ha avuto dei problemi, s’è dileguato e non ci ha dato più sue notizie. E questo ci ha bruciato due volte, ci ha bruciato a livello di credibilità con la nostra gente, che ha detto “ma i Minnie’s che cazzo fanno, un disco su Universal?”, e non ci ha aperto a un nuovo pubblico. Io di quel periodo non ho ricordi molto felici, è per questo che ti dico che questo è il primo disco dei Minnie’s. Nel senso che un’altra band avrebbe cambiato nome e cominciato tutto da capo, noi non l’abbiamo fatto perchè eravamo troppo legati alla nostra storia. Diciamo che adesso le aspettative sono anche totalmente diverse rispetto a quelle del 2010, cioè zero palinsesti radio ma un sacco di concerti.
Però magari ci avevate creduto davvero di poter campare con la musica
L: Mah, guarda ti dico la verità, no, neanche un minuto. Perchè è una cosa che ci è successa ciclicamente, nel senso che da quando abbiamo iniziato a suonare, nel ’95, ciclicamente ogni due-tre anni arrivava la situazione che ci faceva dire adesso si svolta. Poi in realtà non è mai successo, forse perchè era anche destino andasse così. Però quello che mi sento di dirti, piedi per terra, è che se noi riusciremo con questo disco a riconquistare il nostro pubblico, a fare almeno 50 concerti nei prossimi mesi, per quel che ci interessa significa che sì, stiamo vivendo di musica.
Che lavoro fate voi?
L: Io e Viole siamo consulenti per i social media, Yuri fa il producer nella realizzazione video, e Alessandro è invece un aspirante commercialista di giorno, ma in realtà vorrebbe fare l’organizzatore di concerti.
Una volta mi ricordo i Gazebo Penguins mi avevano detto che far diventare una cosa come quella del suonare, un lavoro vero e proprio, toglierebbe forse un po’ di bellezza e poesia al tutto
Viole: Beh si, la condividiamo come cosa. Il rischio di farlo diventare un lavoro è che a nessuno piace il lavoro. Anche il famoso baracchino sulla spiaggia divento uno sbattimento a un certo punto, invece così è figo perchè sei libero, riesci a fare quello che vuoi senza che nessuno ti chieda niente, decidi tu, quando, come. C’è tutta una logica dietro, che poi senza andare nelle derive del punk, del DIY, ha un suo senso tenerlo in quest’area e non farlo diventare una professione.
L’ingresso di Viole nella band cosa ha portato?
L: Un sacco di rotture in più (ridono, nda). Le quote rosa, in primis. E poi comunque ci sta dando tanto. Lei era una che ci ha sempre seguito, veniva ai nostri concerti, e così da nostra fan e diventata special guest. In realtà era l’unica persona che poteva integrarsi in un meccanismo di gruppo che era venuto insieme dall’amicizia di tre persone. Poteva farlo perchè oltre che conoscerci, sa che aldilà di quello che suoniamo l’approccio con cui lo facciamo è fondamentale, e questo si sente nel disco.
“Ortografia” è una grossa storia mi è parso di capire. Due persone, lui e lei, un continuo noi, che si trovano a dovere stare in questo perenne gioco di intrecci e tensione con gli altri
L: In realtà in passato provavamo a racchiudere più canzoni in un unico significato, adesso no, proprio siamo partiti con l’idea di lavorare sui singoli pezzi. Diciamo che ci sono delle canzoni in cui questo tema è molto forte, tipo “La buona stagione” che è proprio il tipico momento quando a 15 anni il tuo mondo è la tua cameretta, e le prime persone che oltre ai tuoi amici delle medie interagiscono con te in quello spazio lì sono di sesso opposto, e questo può generare delle cose molto divertenti. Allo stesso tempo ci sono i soliti momenti flash, i frammenti di vita, come in “Capodanno” o “E’ la quotidianità”, che l’ho scritta quando il nostro ex batterista ci ha abbandonato e ci fece un discorso legato all’aspetto positivo della quotidianità, intesa come non sbattimento, non scarto alla regola, per avere più tempo per sè. Per noi è sempre stato l’opposto, nel senso che suonare è sempre stato l’aspetto principale e l’avere un lavoro solo un modo per sostentarsi e fare quello che ci piaceva. E dunque nel disco emergono tutte queste diverse dinamiche. E poi abbiamo cercato di dimenticarci la vita di tutti i giorni perchè il rischio quando superi i 30è quello di cadere vittima dei clichè. Ad esempio i Perturbazione, che sono uno dei miei gruppi italiani preferiti, mi portano malinconia e tristezza, e vorrei non fosse sempre così. Allo stesso modo gente come Ministri o Lo Stato Sociale finisce per cadere poi vittima sempre di uno stesso canone. Dal lato nostro, ci permettiamo di spaziare il più possibile anche da questo punto di vista nei testi.
I protagonisti veri nei pezzi siete voi?
L: No, sono storie. Uscire dall’io, dal tu, è il sogno di chiunque scriva canzoni, e non lo dico io ma lo diceva Morrisey, quindi ci possiamo fidare.
Ma poi alla fine dei pezzi il modo giusto per interpretare il mondo quale rimane? Aspettare che arrivi la buona stagione, il partire, il farsi del male
V: La cosa che c’è è che è un disco molto proiettato verso il futuro, un futuro prossimo, di buone intenzioni, di cose che voglio e non voglio fare. Tipo in “Capodanno” dice “cos’altro avrò che non volevo più“, come per dire adesso prendo e faccio un’altra cosa, guardo avanti. Poi i testi sono una cosa di Luca, e però è molto bello perchè ci ritrovo un sacco di discorsi fatti in furgone, in giro, sulle cose più diverse. Per interpretare “Ortografia” è forse il colore la cosa più importante di tutto, questo giallo che ci abbiamo proprio premuto il dito sopra, volevamo fosse qualcosa che uscisse dalle solite naiffate, i colori tenui.
Dov’è che avete scritto le canzoni?
L: Mi vergogno a dirlo ma ho finito per scrivere tutti i testi un secondo prima di cantarli. Mi sono ridotto all’ultimo, in studio. E forse questo ha portato anche più immediatezza, più velocità. Tranne pezzi come “E’ la quotidianità” o “Tragedia”, che avevo già nel cassetto e sono andato a ripescare.
Come vorreste si avvicinasse il pubblico a un disco come questo?
L: In realtà noi abbiamo una missione con sto cazzo di disco. Nel senso smarcarci in senso buono da quello che abbiamo fatto fino ad oggi, e ricominciare da capo. La cosa veramente figa ad esempio è stata che nelle date che abbiamo fatto qualche mese fa, già coi pezzi nuovi, abbiamo respirato in base al posto dove andavamo, sia come città che come situazione, i tipi diversi di pubblico che avevamo. Gli amici degli anni 2000, i ragazzini o quelli che non c’entravano un cazzo con la nostra musica. Le dinamiche sono queste, quello che ci aspettiamo dalle persone è che capiscano il disco aldilà del fatto che noi siamo stati un gruppo di punk hardcore melodico o del fatto che abbiamo fatto il disco su Universal, come dicevamo prima.
E la critica invece come ve la aspettate? Che capisca in toto questo nuovo approccio?
L: Anche qui informalmente abbiamo sentito da un po’ di amici addetti che il disco sta piacendo. Ed è positivo, ovvio. Quello che mi aspetto è che anche loro interpretino questa nuova via, che la abbraccino, la capiscano.
Cosa avete ascoltato, da cosa vi siete lasciati influenzare?
L: Da tanto. Ale, il bostro batterista, è innamorato dei Biffy Clyro ed ha un modo di suonare la batteria molto potente ma molto regolare. Io sono molto legato a tutte le robe inglesi anni ’80, tipo Smiths, Prefab Sprout, etc. Yuri e quello che spazia di più anche verso il folk, l’indie, e la Viole è invece molto punk rock. Poi un conto è quello che ascolti, un conto è quello che riesci a suonare, che riesci a scrivere. E il fatto di cantare in italiano è un ostacolo anche ai riferimenti che ci puoi mettere dentro, nel senso che molto spesso rischi poi d’essere etichettato come un Finley coi coglioni. E’ un rischio che però abbiamo sempre accettato, ben prima che i Finley di turno esistessero.
E a parte i Finley le altre band italiane che vi piacciono?
L: (ridono, nda) Guarda a me piace molto Gioacchino Turù, i Verme, gli Albedo, I Like You Ok, Julie Ant, i Riviera
V: E poi tutta la cricca dell’Emilia-Romagna che ormai suona più all’estero che qui, i Raein, La Quiete. Tra l’altro anche gli Scena, che sono davvero fighi. I L’Amo. Poi a me adesso manca un po’ di scena, però mi sembra che quand’ero più piccola io ci fossero più gruppi che si muovevano. Forse è solo un’impressione però.
Io non volevo farla, però ve la siete chiamati. Se vi dico la scena nel 2013, cosa mi rispondete?
La risposta che davamo sempre a questa domanda era la scena non esiste la scena siamo noi. Oggi, mentre stiamo facendo questa intervista arriva in Italia Spotify, che è ciò di più lontano possibile dalla nostra concezione di musica, che è il supporto fisico prima di tutto. Allo stesso tempo per me è una figata e una liberazione perchè con lo streaming penso che riesco ad arrivare a un sacco di persone in più rispetto a un paio di anni fa. E il valore del disco allora dove sta? Sta nel fare come stiamo facendo 300 copie di vinile, edizione limitata, e per tutti lo streaming e il free download del disco. Ecco la scena secondo me oggi nasce da questo, da questa comunanza.
I Minnie’s e Milano
Milano non è più peggio, come dicevamo in un nostro pezzo una po’ di anni fa. Quando lo avevamo scritto c’era la giunta Moratti, fortunatamente la giunta è stata sconfitta non solo alle elezioni ma anche come idea di vita. Adesso abbiamo Pisapia che ha i suoi bei problemini, nel senso che non tutto quello che fa è oro, però l’aria che si respira in questa città oggi è di maggiore speranza. E quindi l’altro aspetto è che si, il legame con Milano c’è e ci sarà per sempre, però non vogliamo più come prima inserirlo troppo in quello che facciamo e chi siamo, perchè è un po’ limitante. Cioè, potremmo essere di qualunque posto, ed è giusto che sia così, permearsi del posto in cui puoi fare una cosa che ti piace, piuttosto che dire sempre io vengo da qui, che è forse una cosa che appartiene di più alla scena hip hop.
Marcello Farno