Gli Zombie Zombie e il rituale del pop visionario
di 2bePOP - 10 febbraio 2013
Il treno è in ritardo. Una cosa rituale. Il paradosso è che l’arrivo al concerto è in netto anticipo. Questa città ti risucchia in quei ritmi menefreghisti che il rapper Danno, giorni fa, in un’intervista, qui su 2bePOP ha definito “romani”. Mai stare troppo lontano dalla Capitale. Il rischio è di confonderla con città diversamente civilizzate. O forse detta così la questione è troppo tragica ed è solo Milano ad aver influenzato le lancette di un orologio che dovremmo dare in dotazione alle ferrovie; chi può dirlo? E, soprattutto, che cazzo ce ne frega? L’importante era il live e quello ce lo siamo visto sano-sano.
Sti Zombie Zombie sono inediti. Tempo fa svettavano nella classifica di fine anno di Givda, ma ora sono cambiati. Etienne Jaumet e Cosmic Neman hanno, difatti, assoldato il percussionista Francisco Lopez. A dire il vero in questo nuovo album, Rituels D’un Noveau Monde, c’è pure lo zampino di Joakim, ma sul palco di lui non c’è traccia. Insomma i presupposti, comunque, ci sono tutti.
Ed eccoli, dunque, in trio: due batterie ed un bel banco ricchissimo di sintetizzatori. Il ciccione bada all’elettronica. Gli altri due picchiano sulle pelli, filtrano a volte il suono in microfoni cybernetici, agitano manopole e pigiano tasti messi di fianco ai tamburi, insomma non sono da meno, pur non essendo in sovrappeso. Talvolta percuotono all’unisono, altre volte vanno ad integrarsi in manicomi africani, poliritmi visionari, afterbeat insomma. Bravi. Bravi entrambi tutti e tre.
Seguono la scaletta della trackilist quasi fedelmente. Lasciano rievocare gli ultimi 15 anni di french touch, senza sporcizia e neppure clubbing. Mirano alla psichedelia. Altrimenti per quale motivo si sarebbero presi la briga di registrare una cover di Sun Ra? E Rocket #9 sia.
Lo show va benone insomma. Un bel viaggione strafatto di manopole, potenziometri che, a dire il vero, ci restano sotto. E il fatto che si siano portati il fonico da casa la dice lunga: invece che puntare ancora allo shogaze spinto tentano una virata pop. Senza cantato viene difficile immaginarli in quella veste, ma che si stiano educando allo spettro del mixer è certo. Oppure sono talmente presi bene da questa coppia di batteristi, schierata in prima linea, che lasciano il resto dietro, sia in scheda tecnica che in equalizzazione. Va così però.
Una performance visionaria. Giusto un tantino meno elettronica del previsto, paradossalmente: cazzo, hanno tutti almeno un paio di synth, eppure va così. Per dispetto ci mettiamo una foto low-fi e sti cazzi. Comunque il finale butta la riuscitissima prova un tantino nel banale. Su Black Paradise gli stop and go e i rallentamenti sono accompagnati da una coreografia sciamanica nella quale non credono neanche loro: le risate gli scappano eccome.
Meglio così: i francesi sono antipatici, molto spesso, quindi un sorrisetto in più è rivoluzionario quanto la presa della Bastiglia; o era la presa per i fondelli? Bah, a me sembrano talmente felici a fine show, con tutto che eravamo un centinaio ad assistere, da comprare il cd di volata. Un rituale che si compie dopo ogni live ben riuscito. Del resto, con la drammatica estinzione dei negozi di dischi è davvero arduo arrivare in anticipo ormai.
Stefano Cuzzocrea