Il rap che fa Paura ai giovani
di 2bePOP - 28 gennaio 2013
Come cambiano le cose. Una volta tutta sta faccenda del rap era roba per ragazzini. In fondo lo è ancora, se vogliamo dar retta ai media mainstream: le trasmissioni televisive che ne trattano in maniera approfondita sono sempre legate ai giovani; che poi la parola giovani, almeno in Italia, è dilatata più del dub e saturata più del glo-fi e fa salire non la febbre a 40 ma la febbre dei 40. Tornando a bomba, però, sulla questione adolescenza & rap, ci sono da dire due cose; la prima è che il mercato del rock, così come lo conosciamo oggi, parte negli anni 50, in un’America vittoriosa, dopo i conflitti bellici mondiali, che inaugura il concetto di tempo libero e crea dunque un nuovo target di consumatori: i teenagers appunto; la seconda cosa da sottolineare, consequenziale ed avvenuta negli ultimi tempi, è che l’hip hop italiano ha ora più di trent’anni e anche molti dei suoi protagonisti, quindi, sono maturi e adulti.
Eppure il mercato questa cosa quasi la ignora, anzi già che i rapper approdino in classifica e sui quotidiani nazionali è una novità. “Ci siamo arrivati tardi: nel resto d’Europa gli introiti della black music sono floridi già da molti anni”, si rammarica Francesco Curci, in arte Paura. Che poi delle sue arti si tratta? Di mestiere fa il grafico e ha disegnato loghi e design per una marea di cose, compresi i siti web di Subsonica e Linea77, giusto per restare in ambito musicale; un ambito che gli interessa da sempre e non solo da ascoltatore: è un rapper da almeno 20 anni. Ha iniziato con i 13 Bastardi e poi ha fondato un trio chiamato Videomind. Una superband che ha giocato con l’elettronica e con tutto il modernariato legato ai videoclip e ai video game.
“Credo che la riuscita di un progetto si basi, prevalentemente, sul numero di date e sulla risposta del pubblico e come Videomind abbiamo fatto davvero tantissimi concerti, e siamo ancora richiesti, nonostante l’album sia uscito da un bel po’; quindi pare che il bilancio sia positivo. Stiamo iniziando a lavorare ad una traccia Videomind per il nuovo disco di Clementino e ce n’è una anche sul mio album che esce fra poco. Poi vedremo. L’intenzione di lavorare ad un nuovo disco c’è. Per adesso stiamo ricaricando le batterie”, ci spiega sempre lui. Un a pausa era d’obbligo, tra l’altro, considerando che Clementino ha da poco firmato con la leader mondiale del settore discografico, la Universal, e sta incidendo un album tutto suo. E poi anche Paura è intento, come ci ha accennato, a dare un seguito al suo primo e ancora per poco unico disco solista.
“Il disco è quasi ultimato. Si intitolerà Slowfood. Dentro ci ho messo tutta l’esperienza che ho maturato con i miei lavori precedenti. C’è qualcosa sia del Paura dei Videomind che di quello dei 13 Bastardi, e credo sia il mio lavoro più sentito, più personale ed introspettivo”. E raccontata così la storia, proprio dal protagonista, sembra appetitosa.
Già, perché poi, per chi Francesco lo conosce, è noto che lui abbia una predisposizione per la buona tavola. No, non è un ciccione, ma gli piace mangiare e pubblica sui social network spesso foto delle leccornie che gli cucina sua moglie o di quelle che ordina al ristorante. Ebbene sì: è sposato, lavora, conduce una vita normale insomma, senza rubare, far parte di una gang o vincere un Grammy o, riportando la questione a casa, partecipare a Sanremo. Un uomo. Anzi un uomo di successo che, comunque, non ha mai smesso di rappare.
“Che non si dica che Paura torna con Slowfood: io non me ne sono mai andato dall’hip hop”, scriveva in un topic, un paio di giorni fa. Ed aveva ragione a ribadirlo: negli ultimi tempi c’è una nuova corsa al rap. Sarà per i riflettori puntati sul fenomeno, come negli anni 90?
“Certo, sta cosa fa bene un po’ a tutti, sia agli artisti mainstream, sia a quelli con un pubblico più di nicchia, come il sottoscritto”, ammette. “Qualche controindicazione c’è, ma io ci vedo prevalentemente aspetti positivi. Anche perché chi ha davvero voglia di scoprire il nostro genere musicale, dopo un primo approccio con quelli più in vista, magari si mette a scavare e a ricercare i prodotti meno noti, che spesso risultano anche i meno banali. Quindi la cosa importante è che si avvicini quanta più gente possibile”.
Ma Paura ha anche qualche monito: “Il mercato e i media sono diventati views dipendenti. Per questo si spinge prevalentemente chi ha già un seguito forte, se non fortissimo, in rete. Ed in rete quelli che hanno più attività, e quindi più voce, sono i giovanissimi. Questo fa si che si scommetta quasi unicamente sui più popolari tra i giovanissimi e che il business abbia la meglio su tutto il resto. Tempo addietro, non esisteva un appiattimento simile, anzi gli altri fattori valevano un po’ di più”.
Un uomo saggio che non solo ha compreso la truffa insita in questo nuovo gran spolvero, ma anche le controindicazioni; in più, oltre ad avere migliaia di fan, una sponsorizzazione dal brand Carhartt e un bel po’ di brani all’attivo, ha compreso di essere, comunque, voce e personificazione di una minoranza.
Statuizioni che ci chiarisce meglio e senza giri di parole, arrivando alla fonte: “Aver vissuto anche gli anni bui della musica hip hop italiana mi ha fatto diventare abbastanza distaccato. Tutto ciò fa si che io mi ci dedichi senza pormi degli obiettivi di riscontro. Non so se sia maturità o alienazione, ma ho la mente abbastanza sgombra da tutte quelle cose che possono condizionare la creatività di un musicista rap, specie attualmente”.
Intanto, dopo aver firmato assieme a MadMan e ai produttori Goldentrash & The Lumberjacks il brano Biohazard, dà la riprova di strizzare l’occhio all’uk garage e alla bass music; alla fine anche il suo singolo Zombie viaggiava sugli stessi binari. E per Slowfood avverte di aver continuato con gli scossoni di questo tipo. Anzi con lui ci sono ospiti del calibro Shaone, Ghemon e Raiz che “sono entrati perfettamente in sintonia con il sound che gli ho proposto e con il mio viaggio musicale”.
Del resto non si tratta di teenagers e neppure di fottuti Peter Pan. Ma forse hanno ragione media e detrattori: l’hip hop è una cosa da ragazzini; altrimenti perché i rapper italiani non gli avrebbero ancora chiuso la bocca? Ah, già, giusto, per quei quattro spicci forse. Ma sembra più una questione di civiltà e karma: quando le luci saranno di nuovo spente resteranno solo le ombre e chi brilla davvero.
Stefano Cuzzocrea