A conquistare il nostro Primavera dove sorge la beer dell’avvenir
di 2bePOP - 24 gennaio 2013
Ecco il programma del Primavera Sound 2013. Mi ricordo quella volta che, a quel festival, ho avuto un attacco di panico. Stava suonando i Pil; gran bel concerto, soprattutto per gente ormai entrata di seconda nella terza età.
Il live era quasi finito. Cazzo, ero da solo: tra 14 palchi e 200.000 persone capita di perdersi gli amici. Ecco, il lato più brutto del Primavera non è la solitudine ma il fatto che mentre stai guardando uno show non te lo gusti perché te ne stai perdendo almeno altri tre ai quali avresti voluto assistere. Uno strazio. Corri sull’ultima nota e vaffanculo al bis perché vuoi arrivare in tempo per non mancare almeno l’ultima ventina di minuti di un altro spettacolo. Roba per aspiranti Mennea. Il posto è grosso. Poi c’è chi vuole sentirsi Ben Johnson e si dopa.
Io no, non ero fatto per niente, non assumo nulla, giusto ettolitri di birra, ma non avevo bevuto quasi per niente. Miracolo. Eppure stavo male. Mi sono messo su una poltrona, in zona chill out, e intanto sbirciavo la performance di Big Boy degli Outkast. Hey ya; capito che momentanea degenza? Altro che sala d’aspetto.
Una tizia belga voleva offrirmi un cannone. Che cogliona. Credo fosse bruttina, oppure mi ero arricchiunito per quanto stessi male. E poi l’ultima volta che ho comprato l’erba per me c’era ancora la lira. Figuriamoci se in quelle condizioni mi sarei fatto fottere dall’euro belga.
Insomma stavo male, cazzo se stavo male. Poi è arrivato Guido, un mio amico che era lì per conto di Vice. Fa il fotografo ed è un matto sensibile. Lui aveva un altro genere di paranoie in quei giorni, storie dovute ad una donna, non belga tra l’altro, quindi figa. Dunque, io, lui e un suo amico skater, che si era mollato da poco con la ragazza e si è spaccato per tutto il festival, siamo andati dal medico: ci sono un po’ di ambulanze dentro la location.
Il dottore mi ha visitato. Quelle cose tipo dici A, metti il braccio così che ti misuro la pressione, domande sulle droghe che avevo ipoteticamente assunto; dottò i Pil, nient’altro di tanto psicotropo. E dunque mi ha detto guardarmi, guardami, un po’ come Giucas Casella, e aveva pure un taglio di capelli simile: in Spagna sono tamarri un po’, simpatici ma talvolta tamarri. E alla fine ha capito tutto, un po’ come quando ho un attacco di panico e ci sono i miei amici storici: avevo un po’ di pensieri di troppo. Tutto qui.
Mi ha consigliato di farmi tre birre e di divertirmi. Minchia, là la birra è acqua santa. Sto Cazzo di San Miguel è un dio della birra. Figurarsi che prima di entrare ai concerti, prima di mostrare il pass all’entrata (o il biglietto per la maggior parte delle persone) ci sono milioni di bengalesi e indiani che vendono lattine gelate a un euro, a volte poco più a volte poco meno. Esci dalla metropolitana e con un paio di monete entri dentro alle arene già allegrotto.
Ebbene, il mio amico, che vive lì a Barcellona da anni e mi ospita sempre quando vado al Prmavera, mi ha spiegato che per tenere le lattine così fresche le lasciano a refrigerarsi nella fogna, sotto i tombini. Uno schifo, perché Barcellona è piena di topi enormi, topi mostruosi disegnati da Gaudì originariamente; sagrate familie di roditori elefantiaci, con tanto di proboscidi inietta germi sulle lattine. E dalle lattine di birra non bevi con la cannuccia, cazzo. Ma prima di sapere questa cose ne avrò ingurgitate almeno una trentina in quei giorni. Eppure non ho avuto nessun malanno.
Anzi il consiglio del medico mi è stato utilissimo: ho ballato fino alle sei del mattino, fino alla fine dei set di Holy Ghost e poi di dj Shadow. Nessun malore. Come se la birra fosse acqua di Luordes o della cucchiarella di San Francesco di Paola (picchì sanfrancisco è pure du mio). Birra santa insomma.
In effetti il Primavera, sia per la musica che per sto San Miguel protettore della birra, è una sorta di santuario. Un’esperienza trascendente. Chi non ci va non può capire. Chi non c’è mai stato non può parlare di live fino all’anno dopo. Sempre che non perda di nuovo l’occasione di redimersi. Insomma, gente senza religione. Ma soprattutto gente senza birra.
Stefano Cuzzocrea