Lettera ad un amico in forma di Mixtape
di 2bePOP - 7 gennaio 2013
A Patrick Benifei ho sempre invidiato varie cose: le montature degli occhiali, la collezione di camicie, varie paia di scarpe, la bellissima compagna (alla quale mando un affettuoso bacio) e uno sterminato talento musicale.
Credo di averlo conosciuto già dai tempi di Garigliano occupata, quando nel salotto ti poteva capitare di beccare Gruff a giocare con i primi modelli di Playstation, Aliosha vociare che la pasta era pronta nella cucina protetta da SantAntonio e Giuliano Palma sfogliare qualche rivista di moda sul divano. Con i Casino Royale io e molti della mia generazione (classe 1971) ci siamo cresciuti. Ho macinato chilometri su treni notturni che puzzavano tutti nello stesso modo, dormendo in stazioni improbabili o in posti occupati di ogni città, per andarmeli a sentire in ogni angolo di questo maledetto stivale. Ho invaso il loro backstage negli stadi, nei club, nei centri sociali e nelle masserie salentine. Una volta ho anche scritto una postfazione ad un bel libro che parlava di loro scritto da un ottimo avvocato calabrese, Francesco Sapone, che con me ha condiviso molte di quelle esperienze. Nella loro sintesi sonora riconosco l’energia di una visione. Nel loro percorso musicale trovo specchiato il mio: una negritudine atavica, un’attitudine punk che trova modi sempre nuovi e inaspettati per manifestarsi, una inscalfibile passione per l’età d’oro del suono giamaicano, l’orecchio sempre attento sulle mille rivoluzioni digitali… Poter comprare l’olio nuovo dal chitarrista della band, il mitico Pardo, è per me un piacere unico, come avere il privilegio di pregustare in anteprima le produzione del suo progetto collaterale e bassoso, in combutta con Alberto “Tuzzy” Tucci: Backwords. Ma pure farsi gli ascolti delle novità con il laptop nella camera d’hotel di Aliosha e Uxo è una di quelle cose che mi regalano una certa soddisfazione.
Ho amato anche Neffa, quando sulla spiaggia di Torre dell’Orso mi faceva sentire, su una C60, i versi alla Paolo Conte che diventavano rap luccicante (quelle bozze sarebbero diventate “Aspettando il sole”). Con i Messaggeri della Dopa e l’inizio della sua carriera solista ero ancora lì, appeso ai suoi versi da periferia campana.
Mi sono appassionato molto anche a quell’All Star Team passato su tanti palchi col nome di Bluebeaters. Adoravo l’umiltà di musicisti straordinari e stelle navigate del firmamento musicale italiano che si mettevano a fare cover clamorose solo per passione.
La costante di tutte questi amori giovanili in musica è l’occhialuto stiloso di cui sopra, Patrick Benifei aka Pat Cosmo aka Tapioca Battlefield, uno che, con le sue tante collaborazioni, ha saputo scrivere pagine fondamentali di un suono cruciale. Eppure, quando ci ceni insieme a casa di Macro Marco, con quelli di Skoolbwoy a stappare le bottiglie di birra e Ghemon a metterti fretta che il live sta cominciando, scopri che ha ancora l’entusiasmo ragazzino e l’orecchio curioso senza neanche un pelo.
Il suo nuovo progetto si chiama Tapioca Battlefield ed ha un EP fresco di stampa su Elastica, “Handclap Job”. È nato per gioco su un campo di battaglia dolcissimo, il tavolo della sua cucina, mentre si beccava sputi di tapioca dal piccolo pargoletto che ha messo al mondo con gioia. L’idea era di fare musica che potesse far ballare il bimbo e cantare la mamma. Ne è uscita una manciata di tracce da spellarsi le mani per gli applausi entusiasti.
Ve lo presentiamo con un mix esclusivo per Mixology, lungo e immersivo che, per me, vale più del suo guardaroba.
Andrea Mi