Verso Sud, una pignata di Social Innovéscion

di 2bePOP - 27 aprile 2016

di Simona Palese

Le Startàp, il Bisness Mòdel, la Coll, il Mìting, la Social Innovéscion. “Ma sono cose che si mangiano?” Penso avrebbe detto questo mia nonna Maria, se fosse stata qui. Ma mia nonna che ne poteva sapere della nuova economia, della nuova socialità, della nuova… aspe’, ma sono nuove queste cose qua?

Mia nonna Maria (e mio nonno Vincenzo, va detto) hanno avuto dieci figli. Era il dopoguerra, era la Puglia perché “il Salento” ancora non l’avevamo inventato, erano le casalinghe, i contadini e i pescatori, era il “sud del sud dei santi” di Carmelo Bene. E i figli piccoli si facevano anche perché aiutassero col lavoro a far sposare quelli grandi. Mia madre era terzultima, è stata fortunata a finire le medie. E sono fortunata io, che i miei nonni me li sono goduti per un po’.

D’estate stavamo a Torre Suda, che è la marina di Racale, il paese dove vivo adesso. I pomeriggi d’estate sono lunghi a Torre Suda, soprattutto sono troppo caldi per scendere al mare alle tre se hai dodici anni. Mio nonno russava che lo si sentiva anche dal giardino senza potersi confondere, e mia nonna ci raccontava i fatti. Altro che la D’Urso su canale 5, dovevate sentirli i fatti di mia nonna.

Io chiamavo i ragazzi che stavano al mare vicino casa mia, per fargli ascoltare i fatti antichi di mia nonna. Facevamo le riunioni ma ancora non lo sapevamo, e mia nonna si sarebbe meritata il patentino da “coach motivazionale”, però vabeh mica all’epoca la chiamavamo così.

Insomma ce ne raccontava tante, ma oggi ci sono quelle che mi ricordo di più. Per esempio ci raccontava che su via Bellini, che è la via in paese dove viveva lei, le donne che facevano la pignata si mettevano d’accordo per farla tutte insieme, una volta sola. A turno si cucinava in una casa. La sera prima ognuna metteva a bagno i ceci suoi, e la mattina presto tutte riversavano il piccolo tesoro in una padella di terracotta che stava a cuocere per ore e ore e ore su un fuoco solo. Così quel giorno quella diventava la casa della pignata, ma pure la casa del ricamo. Ché visto che c’era il fuoco acceso e si stava calde, tanto valeva rimanere là e lavorare allo stesso telaio. La Pina sapeva fare gli orli, l’Antonia il punto a giorno, la Rosa vedeva meglio di tutte e infilava gli aghi, anche perché la mano per il ricamo non l’aveva avuta mai. E così si arrivava all’ora di pranzo con la mezza tovaglia fatta, e con la pignata pronta. E la pignata veniva più buona perché ognuna ci aveva messo gli odori di casa sua, e la tovaglia veniva più bella perché ognuna aveva fatto al meglio quello che al meglio sapeva fare.

Era nei pomeriggi lunghi di Torre Suda vicino al mare che sentivamo questi racconti. Io penso che questi fatti si siano fissati nella mia mente anche grazie al fatto che mi dovevo concentrare bene per seguire il filo, visto che erano i tempi della prima cotta per Alessandro, il ragazzino di Milano. Ma vabeh, questa è un’altra storia!

Fatto sta che io quei racconti non me li sono scordati mai. E in un modo strano mi sono tornati sempre in mente negli anni, anche quando mia nonna non c’è stata più e io mi sono catapultata in quindici anni di vita prima milanese, poi bolognese, poi romana, poi olandese. Mi sono tornati alla mente a Milano quando mi hanno insegnato che raccontare e comunicare significa già condividere, dare un pezzo di sé. Non me li sono scordati nella redazione in cui ho lavorato a Bologna, quando Marcello perdeva le serate a insegnarmi come si impagina un giornale anche se io volevo solo scrivere, perché “puoi anche saper fare solo una cosa, ma tutte le altre le devi capire se le vuoi rispettare”. Quei racconti mi tornavano in testa a Roma, quando io e Martina preparavamo decine di panini con la frittata di zucchine, per tutti quelli che andavano in pullman a manifestare l’antimafia a Potenza. La nonna mia non mi ha mollata neanche nel nord e nel freddo di Amsterdam, stava nelle cose che mia madre mi mandava col pacco degli “aiuti”, quando l’olio buono, i pomodori secchi e la pasta fatta in casa diventavano cene per tutto il palazzo.

Quando sono tornata a Racale io questo mi sono portata dietro, oltre ai racconti di mia nonna: quel fatto molto lucido e consapevole di sapere che la collaborazione e la condivisione stanno nel nostro DNA, nella nostra attitudine mediterranea. Molti, moltissimi, quasi tutti se lo sono dimenticato. “Ma che ci stai tornando a fare? Questa idea che c’hai tu che le persone si aiutano l’una con l’altra vedi che esiste solo al nord”. EEEHHHHH?!??!?!?

Certe volte davvero uno si deve allontanare poco poco per vedere bene le cose.

E ho avuto la fortuna di incontrare tanti altri sguardi che vedevano bene questa cosa. E così ci siamo detti che questo fatto dell’innovazione sociale alla fine forse è un fatto arcaico, almeno per noi. Fare un Coworking (o un Couòrching) a Racale, a sud, in provincia, sembra una scommessa a perdere. Ci abbiamo messo tanto tempo e abbiamo aspettato di essere convinti e uniti, per farlo. Non perché non ci credessimo, ma perché sapevamo di fare una cosa antica, importante, che aveva a che fare con le nostre radici. Io sapevo che aveva a che fare con mia nonna Maria, con quei racconti a Torre Suda, con quella pignata di femmine operose che non conoscevano la competizione e che chissà quante cose si raccontavano davanti a quel telaio.

 

Noi abbiamo fatto un “coworking a sud”, perché fare un coworking a Racale non è come farlo a Milano, e nemmeno come farlo a Lecce.

Me ne sono accorta il primo giorno di apertura, dopo la sbornia dell’inaugurazione con le istituzioni e gli amici fighi venuti anche da fuori, quando a Staisinergico è arrivata la signora Anna a portarci una pianta. Anna è la mamma dei miei amici Matteo e Marco, che ogni San Giuseppe mi fa le zeppole fatte in casa da lei, e a Pasqua riempie il paese di Pupe di biscotto con l’uovo sodo, ed è rimasta una delle poche a farle in casa. Ha detto che era bello l’allestimento, Anna, era bello l’albero stilizzato, la scritta al soffitto, il giardino verticale. E poi ha voluto vedere la cucina (perché noi un coworking a Racale senza la cucina non lo avremmo aperto mai), e ha detto “ah ma mangiate pure qua quindi?” Eh sì Anna, mangiamo qua tutti insieme. Lavoriamo tutti insieme e mangiamo tutti insieme. C’è Fabio che ci porta le cose dell’orto, Roberto fa le insalate, Antonella fa la pasta, qualcuno che si presenta con un dolce c’è sempre. “Va bene, uno dei prossimi giorni vi porto io il pranzo per tutti allora, vi faccio una bella pignata. Che dite, li mangiate i legumi a pignata? Perché fai quella faccia?”

Niente Anna, grazie.

https://www.youtube.com/watch?v=LqsyGE8E3g4

  • Lorenzo Luceri

    beh vuoi saperlo? Sì. mi hai fatto piangere! Di gioia, di nostalgia, con questa storia che una po’ assomiglia alla mia, rimasta appesa tra Martano e Milano. Grazie. Se vinco “lu scornu” e vengo a trovarvi prometto che ve lo porto un pacco di Caffè e lu zuccaru.