Un’anticipazione dal 2bPOP Newspaper…
di 2bePOP - 21 dicembre 2012
Il più grande e antico locale della storia sta per chiudere battenti. La Terra liquida tutto per cessione attività. Pochi giorni ancora e su questo Kolossal di quart’ordine pioveranno i titoli di coda. E senza nemmeno la speranza di veder scorrere tra questi il nome nostro, magari a caratteri microscopici e nel ruolo di mere comparse. Che razza di sfiga!
Almeno così vanno twittando le Cassandre messicane che da un anno a questa parte hanno racimolato un numero tale di followers che manco Perez Hilton ai tempi d’oro di Paris.
Che fare nel frattempo? Questo il dilemma: avere una spicciolata di granelli nella propria clessidra cosmica e non avere la minima idea del cocktail giusto in cui annegarli assieme al resto dei fallimenti.
Avere poco tempo è come averne troppo: non sai comunque mai bene quale sia il modo più sbagliato in cui impiegarlo. Intanto la pellicola scorre impietosa verso l’ultimo frame e tu sei quanto di più lontano dal sentirti un novello Faust. Dall’implorare i cavalli della notte di rallentare la loro corsa. Diciamoci la verità: di tutta ‘sta storia non ce ne frega proprio niente. Siamo irrecuperabili: persino sulla sindrome da diluvio universale ha la meglio quella da deficit d’attenzione e iperattività. Le apocalissi che ci preoccupano sono altre. La fine del mondo è un sms che non arriva, una chat che non si illumina. WhatsApp che tace. Ecco, queste sono le tragedie vere. Un bar che ha finito il carico vodka, altro che pioggia di locuste!
Ma non è che siamo impazziti ad una volta – o che la paura della morte c’abbia trasformati per reazione in spettatori passivi del nostro destino – è che noi tipi da happy-end non siamo stati mai. Non ce n’è mai importato nulla dell’ultima scena. Per noi è l’intreccio narrativo che conta. Quelle pause di due o tremila puntate prima del milionesimo primo bacio tra Ridge e Brooke. Del quale, chiaramente, non ci frega niente in quanto mero espediente narrativo della scena che ci interessa: quella in cui Stephanie si risveglia di colpo dal coma e li coglie in flagranza di reato. La nostra vita più che ad un film d’autore somiglia alla più bassa delle soap-opera. Ad un feuilletton da serve in cui, per rispetto al genere letterario, è categoricamente vietato essere felici per più di un rigo e mezzo.
Per noi, cari signori già in fila al check-in per imbarcarvi sull’arca, la suspence è tutto. Non il coito finale. La sofferenza prima d’arrivarci, i travaglio, contano.
Nei romanzi, come nella vita, contano i frangenti. Le pause che si scaraventano sui nostri stomaci come pugni. Che ci stremano e allo stesso tempo ci danno la forza necessaria per svegliarci l’indomani e l’indomani ancora. Solo per l’esigenza di lavare il nostro onore oltraggiato. Il nostro onore non rivendicato, questa è la fine del mondo. Ecco. Altro che eternal flame. Il nostro orgoglio che brucia è la fiamma eterna. Come potrebbe in qualche modo tangerci il pensiero di un’onda anomala che manda in modalità off l’universo quando tocca scervellarsi per trovare un ennesimo nuovo pazzesco outfit per strappare una reazione ad una perfetta nullità per cui, anche colate nell’oro puro, siamo diventate trasparenti?
E mentre noi spendiamo quel che resta dei nostri giorni spremendoci le meningi su quale sia la maniera giusta per sprecarli, degli strani individui si aggirano per il globo in preda alla totale eccitazione da catastrofe. Quel senso di impotenza che, per qualche bizzarra reazione chimica, colpiti taluni soggetti muta in onnipotenza. Le madri ad esempio, le più felici. Infatti, sarà una coincidenza, ma quest’anno hanno di netto anticipato le decorazioni natalizie. Per godersele almeno un po’, avranno pensato, visto che dal 21 dicembre andrà in onda il nero. Così tra una ricetta, una dieta e l’ultimo cold case in voga farfugliano di Maya e cataclismi e sembrano così contente ed eccitate come non le si vedeva dagli anni ’80. La versione di “Apocalypse now” in voga allora era però edita da Torre di Guardia. Ed era decisamente meno democratica perché una cerchia di eletti si sarebbe salvata.
Morale della favola? Le profezie sono come i maschi che non ci richiamano: corsi e ricorsi storici. E, come gli uomini, non ci sono più le apocalissi di una volta. Tanto vale piantarsi ad un bancone e nell’attesa ordinare un altro giro. Se non le bestie di Satana, sarà utile per sopportare la bestia di turno.
Carla Monteforte