La nostalgia fa schifo
di Fabio Gaudio - 12 aprile 2016
La nostalgia fa schifo. La parola “Nostalgia” è una parola buona per il titolo di una canzone, come Pusha T e Kendrick Lamar, ma “fare” nostalgia non fa proprio per noi. Poi se la nostalgia è riferita a qualcosa di vicino nel tempo, il concetto peggiora. Mio padre si arrabbierebbe. Mi fa la ramanzina ogni volta che uso la parola “schifo”. Si arrabbia molto e io ho quasi 37 anni. Mio padre si arrabbia a sentire la parola “schifo” e poi un secondo dopo dice “cazzo”! Il che non fa ridere, ma fa pensare il fatto che mio padre fa parte di quella generazione che dice le parolacce ma non ha mai bestemmiato.
Stefano aveva capito il segreto del grande amore, dare attenzione ed empatia instillando sempre, però, un po’ di velenosa verità: “Sei stupenda! Sei bellissima! Molto intelligente! Mi fai ridere tanto… l’unica cosa dovresti perdere un paio di chili”.
La fine.
Se non hai la maturità di accettare la verità, in un paio di staffilate, certo è che il problema è solo tuo. Stefano era ammirevole, riusciva a dare sempre qualche staffilata educata, basta rileggere i suoi articoli, non aveva paura, perché capiva che leccare sederi non serve davvero a nulla, è inutile che provi a convincerci, non serve, leccare i culi non serve, cazzo. Siete grandi, capitelo! Di solito, e penso di essere abbastanza navigato, so che quando qualcuno mi critica in maniera immotivata devo essere comprensivo. Ridacchio un po’, mi preparo una bella dose di sarcasmo e ribalto le critiche addosso all’interlocutore, senza farglielo capire, lo faccio ridere dei suoi stessi limiti, questo è il mio metodo. Nel caso di Stefano non riuscirei a fare nulla, era una persona che non ti dava punti di riferimento per liti e discussioni accese, semplicemente perché non puoi litigare con chi dice la verità senza mai inveire contro le persone, i nemici e il destino avverso. Perché Stefano non ha mai detto nulla contro nessuno, ha detto sempre la sua verità in modo umano e ironicamente tragico, come se la vita fosse un film della commedia all’italiana tipo Dino Risi o Monicelli.
Da un po’ ho capito che la cattiveria esiste, davvero, stiamo tutta la vita ad allontanarla, ad allontanare la malvagità gratuita, non ce ne facciamo una ragione, non riusciamo a capacitarci che una persona vicino a noi possa farci del male, anche quando non ce n’è bisogno, quando si potrebbe evitare ci sarà qualcuno che ci farà del male per debolezza o confusione, per questo ho riflettuto molto quando ho capito così chiaramente perché Stefano in mia presenza non ha mai parlato male di nessuno, non ha mai parlato male di chi gli aveva fatto degli sgarbi, e non si è mai lamentato della sorte che gli è toccata. Mai.
La verità la vedi quando la morte si avvicina, e posso testimoniare che un anno fa, Stefano Cuzzocrea, sapeva dove stava andando ma soprattutto da dove veniva. Mi viene da ridere a pensare che sto scrivendo, non voglio scrivere, vorrei disegnare, fare musica, progettare architetture, magari scrivere canzoni o poesie, ma è davvero strano che in questo momento mi cimento proprio nell’arte di Stefano. Scrivere per raccontare, scrivere per dare nuovi spunti di riflessioni su un argomento non è il mio talento. Io scrivo e faccio altre cose astraendo e dando materiale incomprensibile e misterioso alle persone che ci vedono quello che vogliono. Invece Stefano raccontava. E, la cosa meravigliosa, è che leggendo i suoi scritti appare subito chiara l‘agevolezza nella scrittura, il suo abitare la scrittura, la tastiera sembra un divano, la carta sembra un’amaca. Stefano stava nei suoi articoli come la perla dentro l’ostrica: tranquillo, comodo e rilassato. Certe volte la disinvoltura del raccontare è forse più importante dei concetti stessi che si portano in scrittura, forse qui la scrittura diventa arte, quando istinto misto a tecnica fanno diventare interessante anche la lista della spesa, un po’ come faceva Gassman quando leggeva il menù in prima serata su Raiuno. Forse non era arrabbiato con la sorte perché ha avuto la fortuna e la volontà di vivere una vita velocissima per intensità di cose vissute, altro che la “Fastlife” di gangster e spacciatori. La vita di Stefano è finita prematuramente per gli standard umani, ma in realtà ha vissuto il triplo, perché soprattutto si è fatto voler bene dal triplo della gente rispetto ad una persona normale, ha viaggiato il triplo, prodotto il triplo.
Infine, vi svelo perché ci siamo voluti bene…
Penso che ci siamo voluti bene perché facciamo parte di una massoneria del pensiero eclettico che non ci porterà mai ad essere amati dalle folle e ad avere un talento riconosciuto universalmente. A non essere capiti, perché abbiamo troppe cose da fare, molto più di una qualunque Star sui tabloid o al festival di Sanremo, troppo poco tempo per sognare di avere una forma precisa e cubica, siamo liquidi come il nostro pensiero che è sempre alla ricerca di un nuovo contenitore, e perché dovremmo fermarci? Per goderci soldi e affetti? Non penso. La creatività è la migliore droga esistente, non si compra, polverizza i beni materiali e i bisogni. La creatività rutilante non può essere fermata dai limiti del nostro corpo e ci rende immortali quando siamo in vita e possiamo godercelo, e non quando abbiamo il nostro nome inciso su un fottuto pezzo di marmo.