The Wolf of Pietrafitta
di 2bePOP - 4 agosto 2015
di Dario Greco, visual di Roberto Gentili
“Ogni superiore umorismo incomincia col non prendere sul serio la propria persona.”
(Herman Hesse)
Sapresti indicarmi la direzione esatta per raggiungere Carpanzano?
Per chi, come me, ama avventurarsi con mezzi di fortuna nell’entroterra calabro, sa benissimo che l’ostacolo principale da superare è entrare in modalità: segnaletica stradale fatta a organo riproduttivo di cane lupo. Proprio così. La segnaletica italiana, secondo un recente sondaggio internazionale, è stata considerata una delle peggiori in Europa.
Ecco le notizie che volevo leggere oggi! Lo so, un po’ come quando il vostro fedele compagno di banco, giù al call center vi posta le ultimissime news che riguardano la nuova figuraccia del presidente del coniglio in trasferta estera. Invece di andare a lavare bicchieri a Londra come gli altri… No, questo non è un post vecchio, caro Andvea, e mi sto riferendo proprio al tuo amico Matteo, con quel bel partito o progetto politico, se preferisci, che era la Margherita.
Ve lo ricordate voi il mitico Margheritoni, interpretato dal sempre ottimo Andrea Roncato? Ah, no giusto, voi eravate fans sfegatati di Frassica e del suo cult “Il bi e il ba”! Bah! Io invece ho sempre amato il cinema americano, fin dalla mia più vergine età, come avrebbe detto Augusto Daolio. Ai tempi non era ancora arrivata la cosiddetta estate italiana. Eppure in certi periodi il nostro vivere da beatnick di provincia ci aveva spesso condotti in luoghi ameni, e non armeni e ci aveva fatto incontrare artisti del calibro di Vittorio Nocenzi, Kelly Joe Phelps, i Camaleonti e in un viaggio della speranza perfino Cucciolo, il mitico batterista dei Dik Dik. Che perfidia! Come direbbe Gianni Minà! Lo so, arrivati già qui qualcuno di voi mi vorrebbe davvero minà e non certo per via del celebre giornalista amico di Fidel e del Pibe de oro.
Carpanzano state of mind. Tutte le strade portano da qualche altra parte, quando vi perdete nell’heartland cosentino. E già mi viene in mente il migliore rock di Warren Zevon e dei suoi ululati metropolitani e sardonici. Qui però tra i boschi delle Serre e della Sila, è davvero dura essere un santo specialmente se di nome ti chiami Santino. Giusto?
E mentre cercavo di raccapezzarmi vidi, a fari accesi e con la vista annebbiata il celebre lupo di Pietrafitta. Strano incrocio sub-urbano, a metà strada tra il Viggo Mortensen di The Indian Runner, e il Mickey Rourke di Rumble Fish. Lo conoscete anche voi il famoso lupacchiotto che vive tra Aprigliano e Pedace, vero? Un vero canide che non perde mai occasione per manifestare all’ambiente circostante la propria individualità. Come ha detto qualcuno più saggio di me, se non ti conoscono a Scalzati, Pedivigliano, Sartano e Calopezzati non sei proprio nessuno!
Ed è per questo che io mi ero dato alla macchia, in compagnia del mio amico Ivan Marini, per le strade di Cropalati domandando a tutti: mi conoscete? Mi riconoscete? Nessun esito. Un po’ come quella volta che andammo con una comitiva di antipatici in trasferta a Corleone. Nessuno ci diede un minimo di retta. Anzi, andammo a mangiare in una pizzeria e ci fecero perfino la ricevuta fiscale! Cose dei pazzi! Mi raccapezzo: eravamo in macchina. Una Polo Volkswagen del 1987. Eravamo a fari accesi e con la vista annebbiata, io e il mio amico Ivan, quando scovammo, in una calda sera d’estate di qualche anno fa, questo famoso lupacchiotto di Pietrafitta. Credetemi, facemmo la conoscenza di un tipo davvero fuori dal comune.
Aveva una maglietta nera degli Stones con la celebre tongue & lip. Io in quel periodo ero andato in fissa con Il lupo della steppa di Herman Hesse, e visto che avevo clamorosamente toppato cercando un po’ d’africa in giardino, avevo risolto vestendomi da ricercatore senza borsa in antropologia culturale: ovvero, come un caggio. Faceva davvero caldo e quella giacca con le toppe di velluto poteva essere indossata solo di sera con una temperatura inferiore ai 24 gradi, per la serie: conta solo lo stile!
Era stato un inverno difficile con Red Ronnie che ci faceva il lavaggio del cervello, a noi giovani, che volevamo solo vedere un po’ di musica dal vivo in tv. Io, come già detto, ero in fissa con Hesse, ma era il mio amico Ivan il vero geniaccio metafisico della situazione. Raccontava storie di bar e di periferia ambientate alla fine degli anni settanta. In questi luoghi della mente, la monotonia veniva infranta solo da una Fiat 128 Coupé o da qualche canzone di Umberto Tozzi. Lui poi era un grandissimo fan di Alberto Camerini e millantava di averlo conosciuto in una fresca sera d’autunno a Mottafollone, tanti anni fa.
Si stava come dentro l’incanto dovuto al riposo estivo e tutto nella mia mente appariva rallentato, surreale e apparentemente senza un significato preciso. In lontananza sentivo il rumore di un motore Fiat preparato e pronto per ruggire. Il suono si confondeva con le note imperiose di Born to be wild degli Steppenwolf. E così iniziava il viaggio. Allacciate le cinture e siate pronti all’avventura.
Il lupo di Pietrafitta era il nostro contatto locale per una storia d’erba e noi dovevamo tenercelo buono, perché era un’estate davvero scarsa e volevamo svoltare senza troppi grattacapi. Io dovetti redarguire il mio amico Ivan, che di solito quando vedeva qualcosa di pittoresco diventava insopportabilmente sarcastico e petulante. Procurare un dizionario a Pietrafitta vi assicuro che non è assolutamente un’impresa da poco e nemmeno da Polo. Però visto che m’ero impanicato utilizzando un vocabolo a me estraneo, un po’ come i foreign body di una canzone di Van Morrison in preda al mantra e al repeat-one, decisi di fare il Gonzo della situazione. Il piano era semplice: andare nella tana del Lupo, farci la nostra storia e tornare in città da eroi.
E’ nei momenti di apatia e di apparente facilità che l’uomo pur di non annoiarsi è disposto a fare qualsiasi cosa pur di incasinare un caffè espresso. Sarà il senso di avventura che ci contraddistingue, sarà che non è bello ciò che è bello, ma… il nostro Ivan inizia a raccontare una delle sue interminabili e mirabolanti storie di paese andate, Caputo docet.
Sapete dove si trova Civita? Male, molto male. Dovete sapere che il nostro eroe in tempi non sospetti aveva uno zio che era titolare di un tabacchino. Voi direte, bello sforzo del cazzo, gira e rigira in ogni famiglia arbereshe che si rispetti c’è uno zio che è titolare di un edicola-benzina-tabacchi. E’ vero, anche le società più primitive hanno un innato rispetto per gli alienati.
Però voi non sapete di che tipo di zio stiamo parlando, giusto? Il vostro pure va a caccia di cinghiali, produce un ottimo vino e brinda alla vita come un autentico cosacco? Non credo proprio, perciò state buoni… Adesso il lupo di Pietrafitta era un tipo abbastanza paranoico, e appena sente parlare di fucili, tabacchini e di tutte quelle phesserie inizia ad insospettirsi e a farci un sacco di domande. Il come e il perché, noi forestieri, eravamo andati a svoltare proprio in quel di Pietrafitta. Anche questo è vero! Ivan, tu zitto no, eh!
Con una mossa da prestidigitatore, ma con la fodera di culo da principiante, estraggo la mia copia del Lupo della Steppa di Hesse, e gli cito quasi a memoria questo passo:
Se il mondo ha ragione, se hanno ragione le musiche nei caffè, la gente americana che si contenta di così poco, vuol dire che ho torto io, che sono io il pazzo, il vero lupo della steppa, come mi chiamai più volte, l’animale sperduto in un mondo a lui estraneo e incomprensibile, che non trova più la patria, l’aria, il nutrimento.
Lupo più lupo, fa sempre Volfkswagen, no? Sul resto ho ricordi piuttosto confusi e annebbiati perché il Lupo dopo essersi tranquillizzato stampò una canna di una certa rilevanza. Questo fu positivo anche perché per un po’ smisi di sentire caldo, ma soprattutto smisi di sentire i racconti dello zio di Ivan, e mi scordai anche la metà delle dispense che avevo studiato su John Landis e la fenomenologia del cinema horror giovanilistico statunitense, in relazione alla guerra fredda e in ottica di colonizzazione del continente euro-asiatico.
“Ogni cosa era davvero romantica, la nebbia simile alla grigia ombra del mistero senza fine che sembrava covare la terra roteante; e gli uomini insignificanti piccole luci, condannati ad una sfrenata smania di lavoro. O come direbbe Mick Jagger nella canzone: “May the good Lord shine a light on you, Make every song you sing your favorite tune.”