Loop Luna: le donne, l’islam, le mafie, i pregiudizi e una Milano terrona

di 2bePOP - 20 novembre 2014

loopÈ il Messico? Nel nuovo videoclip di Loop Luna ci sono quelle Anime nere che stanno magistralmente conquistando il grande schermo. Eppure, guadandolo, non sembra di vederci la Calabria ma qui miti gangstar cari al rap americano. Un assurdo o un modo per ribadire che ogni mondo è paese? Quel che conta è che Loop Luna abbia deciso di accorciare le distanze tra Paese etico e Paese reale ponendosi degli interrogativi. È una donna di mondo: ha girato per il Pianeta fino a comprendere l’islam molto meglio di tanti sedicenti sociologhi o politici eletti ad opinion leader  dal tubo catodico. Eppure il suo unico credo è la musica, anzi l’hip hop. “Non è stata una scelta meditata. Mentre molti, i più nella mia cerchia di amici, si avvicinavano al rock, io mi sentivo più attratta dal rap. Penso sia stata una questione di inclinazione naturale. Non ho mai deciso di studiarne gli stilemi è stato tutto molto istintivo. Ascoltare e fare rap mi faceva stare bene, era un rifugio e credo lo sia tuttora: mi fa sentire viva”.

Che sia viva lo si percepisce ascoltandola. Anzi, se dobbiamo dirla tutta, lei è una delle poche a lasciare che viva un lato femminile dell’hip hop volto a completare il quadro e a poter sconfiggere il mostro dell’ultimo quadro di un gioco fatto di beat quanto di cultura e soprattutto di realtà, quindi anche di pregiudizi. “È una cosa strana, perché ancora non ci sono abbastanza donne brave e produttive allo stesso tempo.  Con il tempo questa cosa cambierà. E il movimento non potrà che trarne giovamento: le donne possono portare un valore aggiunto, un modo di vedere le cose completamente differente. Anche le donne che seguono il rap sono molto meno rispetto agli uomini, fatta eccezione per le ragazzine in ormone che seguono il belloccio di turno, e che poi sono quelle che comprano i dischi. Anche questo cambierà quando ci saranno più rapper donne competitive, perché si potranno rispecchiare molto di più nei testi”.

Ma Luana non ha solo belle parole per il mondo femminile: “Le veline spesso cercano la fama e il successo. Oggi va di moda il rapper e quindi vogliono farsi paparazzare con il rapper di turno. Il rapper di turno, che vuole vendere più dischi, si fa fotografare per un giornale di gossip con una velina e il gioco è fatto. Non male come marketing. Forse dovrei trovarmi un tronista e uscire su Chi: di sicuro venderei molto di più”.

Del resto lei con la tv ha un rapporto consolidato: è stata una delle concorrenti del talent-show, incentrato sulle rap battle, che va in onda ormai da te stagioni su Mtv. “Non avevo la minima idea di cosa stessi andando a fare. Ho sempre desiderato lavorare nella televisione, ma non da protagonista piuttosto da addetta ai lavori. La mia tesi di laurea era una traduzione e analisi linguistica di alcune puntate di Al Jazeera, il mio primo lavoro si chiamava Tv Elle. In un certo senso sono stata io ad attrarre la tv, che mi ha dato maggiore esposizione e popolarità rispetto a prima. Ero molto ansiosa, si respirava un’aria abbastanza tesa, quindi non ho dato il mio meglio. Ma va bene così, alla prossima occasione farò di sicuro meglio perché sarò più preparata”. Lei di ogni esperienza sa fare tesoro, anzi ha saputo mettere nello scrigno del sapere parecchia vita vissuta ed è sempre pronta ad aumentare questo bagaglio di esperienze.

“Beh, da ragazzina avrei voluto studiare lingue alle superiori ma dalle mie parti non c’era un liceo linguistico pubblico, solo uno privato. Quindi ho dovuto rimandare lo studio delle lingue all’università. Mi sono laureata con 110 e lode in Lingua Araba e poi, come una cretina, mi sono rimessa a fare il rap, perché è uno dei pochi linguaggi artistici che ho imparato. Anche se, comunque, continuo a lavoricchiare con l’Arabo”. Ovviamente questo itinerario l’ha condotta fino alle radici, da cultrice dell’hip hop non sarebbe potuto essere altrimenti. “Ogni Paese ha qualcosa che può essere vicino alla nostra cultura italiana, poi dipende dagli occhi con cui guardi il tutto. Io per esempio mi sentivo più a mio agio in Siria o nello Yemen, piuttosto che a Dublino o Parigi. Sono sempre ritornata in Italia per circostanze particolari non perché davvero mi mancasse, anche perché dopo un po’ ti abitui a stare fuori dal tuo ambiente. Forse i momenti più difficili sono il Natale e le feste comandate, ma dopo un paio di volte che stai sola non ci pensi più, cerchi di ricreare l’ambiente che ti manca con chi hai vicino. Credo che se non ci fosse il rap me ne andrei di nuovo, ho un’anima un po’ da zingara”. E il suo nomadismo assume anche migrazioni culturali, come quella che la porta a riconsiderare il ruolo della donna nei paesi musulmani, smentendo la presunzione di maschilismo tramandata in occidente per descrivere quei luoghi comuni.

“Sicuramente lì il sesso, quello tra marito e moglie, non è visto come qualcosa di sporco o da praticare solo se si vuole procreare. Noi abbiamo la dittatura dell’estetica che ci impone di essere sempre belle e giovani tanto da ricorrerei a botulino, plastica e quant’altro. Loro hanno delle restrizioni che impongono alle donne di indossare l’hijab o a volte anche il niqab, cioè il velo che copre anche il viso, e che non ha nessun legame con la religione islamica. Poi dipende da Paese a Paese. Il Libano è molto diverso dallo Yemen, come la Grecia è molto diversa dalla Danimarca.  Per esempio in Libano in media ci sono poche donne che indossano il velo, di contro molte sono quelle che ricorrono alla rinoplastica per avere un naso più europeo”. Storie apprese nei visggi. La migrazione fa parte del suo dna: non riesce a eliminare del tutto il suo legame con la Calabria, tant’è che a produrre i suoi beat ha chiamato Turi.

“Io gli portavo delle idee, magari dei beat sbilenchi fatti da me, oppure esempi di beat anche non hip hop, e lui è stato bravissimo a dargli il suo tocco, creando delle atmosfere splendide. Ci ha studiato abbastanza per fare quelle robe, perché non sono prettamente nel suo stile classico e dedito al funk. C’è stata un po’ di sperimentazione. Non tutto è filato liscio come l’olio perché io sono purtroppo un’arrogante e, spesso, non riuscivo a farlo lavorare tranquillo. In alcuni casi è stato lui a ribaltare musicalmente il pezzo, come per Monnalisa che in origine aveva un beat abbastanza differente e lui, due giorni prima di andare in studio per fare il master, ha creato una base musicale completamente diversa. Ma il risultato non poteva essere migliore. Citando dj Impro, autore di due beat del disco, posso dire che l’album ha un suono moderno ma con delle radici old school che si avvertono”.

loop2

Ma non è il beat maker l’unico apporto calabro a quest’album e tutti i progetti di Loop Luna: ci sono una nutrita schiera di grafici, come Fabio Gaudio e Roberto Gentili, a coadiuvarla, senza contare i registi Antonio Cuda e, l’ancora più efficace, Elio Bruno. Tornando a Dalle mie parti, il videoclip uscito in queste ore, c’è da die che riesce a portare l’immaginario delinquenziale in un pittoresco squallore internazionale. Senza contare che Luana, altrimenti detta Luna, sa affondare il coltello della verità fino al cuore del problema: quanto siamo diversi da loro? “Amo e odio la Calabria. Ho lasciato una parte di cuore là, ma credo che difficilmente ci tornerei a vivere. Dalle mie parti è uno dei pezzi più veri e più sentiti del disco, racconta solo una parte di quello che è la mia terra, racconta la violenza con cui ti devi confrontare giorno per giorno, parla della morte, di morti violente, di cui sono stati protagonisti anche miei conoscenti e amici. E’ come se ci fosse una forza distruttiva che tutti noi abbiamo dentro e che può uscire da un momento all’altro, a volte anche solo per questioni futili. Mi sono sempre chiesta se riuscirei a uccidere un uomo e la risposta è sempre stata “sì, ci riuscirei” e questa cosa mi fa una paura tremenda”.

Il rimando allo splendido film Anime nere è obbligatorio. Eppure, sebbene il finale della pellicola sia emblematico e porti una soluzione al male fino al grande schermo, ne’ lo scrittore Gioacchino Criaco e ne’, tantomeno, il regista Francesco Muzi riescono a delocalizzare il problema delle mafie, tornando a lasciare il complice e altrettanto carnefice nord Italia in uno stato di disapprovazione e incoscienza che poco si addice alla realtà. Luna, parlando dei rappe che migrano in Lombardia, quasi involontariamente, risolve, invece,  la questione: “Quando ho finito l’università sono partita con l’idea di trasferirmi a Bologna. Non riesco a capire come mi sono impelagata qui a Roma. Adesso non ci andrei nemmeno morta a Bologna, ma tanto meno a Milano. Se spacchi per davvero non conta tanto se stai a Roma o Milano. Certo è che non si può fare a meno di avere in mano una città come Milano se vuoi fare rap, perché rappresenta la maggior parte del business. Ma lavoreremo anche su quello. Milano in fondo è una città estremamente terrona”.

Insomma tutto il mondo è paese. Per il resto la metafora della vita offre il modo di congiungere latitudini e longitudini diverse, oriente e occidente, come lo ing e lo yang. Ma anche l’emisfero maschile e quello femminile, o no?

 Stefano Cuzzocrea

  • Paolino Patitucci

    Brava Luna, a me piace molto di più il lavoro del regista Cuda, rispetto a quello, meno efficace perché banale e statunitenseggiante, di Elio Bruno. Ciao!

  • Paolino Patitucci

    ps: anche il video di Mauro Russo è molto bello.