Pat Cosmo: Pharrell all’italiana
di 2bePOP - 17 giugno 2014
Dovremmo vergognarci? È davvero tanto duro ammettere che la nostra musicalità è basata sulla melodia? Gli americani, e gli afroamericani in particolare, hanno invece un senso del ritmo molto più spiccato. Peculiarità a parte, però, c’è da dire che il loro mercato discografico è smisurato rispetto al nostro, del resto è quello di un continente intero, mica di una scarpetta a metà strada tra Europa ed Africa. Se non si tengono a mente queste basilari differenze, non si può certo comprendere quanto il nostro Pat Cosmo possa essere considerato il Pharrell italiano, in un universo pop fatto di rap e canzoni come di ritmo e melodia, di colonialismi vecchi e nuovi in antitesi con quella famosa rivoluzione che non sarà teletrasmessa. Giusto, Gil? È innanzitutto una questione di stile.
La storia inizia nel 1973. Quell’anno Kool And The Gang incidono Good Times, che è un po’ il progenitore di Happy, mentre Bob Marley registra Catch a Fire, l’album che consegna all’Inghilterra il reggae e rende il rock del terzo mondo sempre più vicino. Il 5 aprile di quell’anno nasce Pharell Williams e pochi mesi dopo, il 16 settembre per essere precisi, arriva sul pianeta Terra anche Patrick Benifei. Ci vorranno 20 anni prima che i due esordiscano nelle rispettive band e ne sono già passati altrettanti fino a quel qui ed ora dal quale si cerca di stabilire un contatto.
Com’è l’Italia del 1993? Tangentopoli vorrebbe segnare la fine della prima repubblica e invece diventa uno specchietto per le allodole che regala ciò che resta del Paese a calcio, mignotte e scommesse con la vita. Il movimento studentesco de La Pantera tenta di recuperare quel filo rosso che lega il dissenso politico a una generazione che segue la precedente e non ha mai smesso, forse, di essere costretta a sanguinare. È il punk ad aver aperto altre strade. Ed è ancora il punk ad aver regalato la musica e la lingua ad un popolo di ragazzi che hanno voglia di giocarsi il tutto per tutto. Intanto la miccia accesa da Marley con Catch A Fire ha innestato un ordigno che ha tinto il rock di nero e lo ska di bianco, oltre ad aver forgiato la techno come l’hip hop, tutti ingredienti che in questa saga hanno il loro ruolo da protagonisti, relegando tutti gli altri a semplici comparse in cerca di un destino da cambiare.
Patrick all’epoca studia pianoforte da un’insegnante, privatamente, e sostiene gli esami al conservatorio. Fa già sul serio insomma. Ha pure un gruppo, anzi una posse: “Sono un rapper mancato”, ci racconta, mentre fa una pausa, in un bar di Torino, prima di registrare la sua ennesima collaborazione in ambito hip hop. “Mi piace molto il rap come tipo di espressione, è un modello di comunicazione base, è molto popolare, nel senso che è accessibile a chiunque, è universale, è partito dal ghetto e poi è diventato di tutti, del resto è un mezzo che ha dato voce a chi non poteva averla, e a chi non aveva i soldi per uno studio di registrazione ha dato un’opportunità alternativa”, continua a spiegarci. Non a caso la vita di Pat Cosmo cambia proprio per via di un concerto hip hop e proprio nel 1993. Difatti, in una licenza dal servizio militare, dato che la naja è ancora obbligatoria all’epoca, come a quei tempi cantava Lou X, il giovane Benifei, appena ventenne, parte per Milano e Luca, un suo amico col quale deve andare allo show di Paris, lo porta in uno squat. Tra gli abitanti c’è Alioscia, una delle due voci dei Casino Royale (l’altra è Giuliano Palma). Pat non conosce la band ma fortuna vuole che inizia a farne parte quasi immediatamente, mentre il gruppo lascia l’inglese e il two tone per cambiare i connotati della musica italiana in maniera inequivocabile e irreversibile.
“Ho iniziato a suonare le tastiere con loro nell’ultima parte del tour nel quale portavano in giro “Dainamaita, poi siamo entrati in studio per registrare “Sempre più Vicini”, ci riassume, ricostruendo la vicenda più sapida ed ibrida della cultura contemporanea meneghina. Tra le case occupate di via Garigliano e via Della Pergola, lì a Milano e in quel periodo, vivono e si muovono, oltre a Pat ed Alioscia, un’infinità di artisti, pensatori e musicisti, tra i quali Claudio Sinatti, Alessio Manna e Dj Gruff. L’hip hop è il nuovo punk e chi era costretto a sanguinare ha nuove cicatrici a base di inchiostro grazie alla mano di Paolino. Un periodo indelebile. “Sento la mancanza di fare i dischi come si facevano una volta, c’erano altri budget, si stava un mese intero all’estero per registrare, girando per i negozi di dischi e nei club, respirando ed inspirando tutto quello che finiva tra i solchi del vinile, e già prima si stava in campagna a fare i provini, in più tutto questo lo si faceva assieme, si viveva insieme; adesso si incide tutto in un attimo col computer, il campionamento ha modificato i processi di lavorazione, ma il ricordo dell’Orionoco studio di Londra mi fa ancora venire la pelle d’oca”. Non sono state solo gioie però. Se si chiede a Patrick quale sia stato il momento peggiore della sua vita non ha dubbi: “Il periodo in cui ci siamo sciolti: il sentimento che ho provato è come quello che ti distrugge quando finisce un matrimonio; avevamo suonato con gli U2, scelti da loro per aprire il tour italiano, eravamo al top della forma e invece, improvvisamente è scoppiato tutto; sono dovuto tornare a casa dei miei per riprendermi, avevo perso tutto. Lo scisma tra Giuliano e Alioscia non ha lasciato in piedi la famiglia. “Testa contro testa ed io stavo nel mezzo, non potevo scegliere tra un fratello e un altro”, ci racconta ancora Patrick, mandando giù il sorso più amaro, quasi venti anni dopo, poco lontano da quella Milano dal doppio standard, ma ancora più vicino.
Adesso, il suo coefficiente è massimo. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Con i Casino ha fatto pace già dai tempi di “Reale”. Quando sono tornato con loro è stato perché quella cosa mi mancava, era un’altra dimensione rispetto al resto”. E se ci si domanda quale sia il resto, allora si ignora una bella fetta di rock, reggae e rap italiano degli ultimi 20 anni. Le collaborazioni di Patrick sono un’infinità, dai La Crus a Dj Gruff, passando per la band che porta in giro Neffa, i Regga e National Ticket ed anche la loro mutazione chiamata Smoke, dai quali viene fuori la carriera di Nina Zilli se vogliamo, senza contare il Patrick membro stabile degli Africa Unite, tutte le sue numerosissime collaborazioni in ambito hip hop, particolare questo che lo rende ancora più vicino a quel Pharrell di cui sopra.
Ma c’è dell’altro, ovvero i BlueBeaters, prima di ogni altra cosa. Inizia a far parte del gruppo già negli anni zero e ne esce perché “annoiato dal fatto che eravamo fermi da troppo e quando sono ripartiti ero impegnato a suonare altrove e a comporre un disco per Tricarico, in più l’idea di fare le cover di vecchi successi italiani non mi alletta troppo”; adesso però ne è diventato la voce principale, dopo che Giuliano Palma ha preferito la carriera solista. “Ci siamo reinventati un po’ di volte, tant’è che sono rientrato da tastierista ed ora che è tornato anche Peter Truffa sono il cantante; all’inizio ero preso dalla timidezza, poi è andata progressivamente sempre meglio: sto imparando ad affrontare il palco da un’altra angolazione e mi piace un sacco, difatti pare che negli show io sorrida molto e la gente percepisca il mio entusiasmo”. Assieme a loro pare stia registrando un intero album, anche se al momento hanno inciso solo un singolo, in studio con Max Casacci: si tratta della loro versione della Toxic di Britneyana memoria. Ma le novità non si faranno attendere: “Io ed un po’ di altra gente stiamo scrivendo dei pezzi, questa volta i BlueBeaters non si limiteranno alle cover”.
Ecco il passaggio fondamentale. È solo negli ultimi tempi difatti che Pat Cosmo ha preso consapevolezza della sua voce. La sua carriera, in sostanza, sembra essere spiegata dai titoli di due album, i primi due, della band di Pharrell, i N.E.R.D., ovvero “In Search Of” e “Fly Or Die. E, paradossalmente, tra i promotori di questa seconda fase, quella del volo, c’è Ron: “Non sono andato in tour con lui perché è stato uno di quelli che mi hanno convinto a cantare, dunque mi ha dato coraggio, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Se per Williams questo ruolo lo ha avuto Teddy Riley per Pat Cosmo c’è voluto Rosalino Cellamare, ma lo abbiamo detto all’inizio che l’Italia non è l’America e del resto Carosone ha dedicato a questo tema e a Renzo Arbore la sua canzone più celebre. Ecco, se Patrcick invece che con Ron fosse andato a Sanremo con The Bloody Beetroots, la similitudine con i Daft Punk e Pharrell sarebbe stata grottesca, ma per fortuna loro hanno scelto Gualazzi. Le vie del Get Lucky sono infinite insomma. Tant’è che dal palco dell’Ariston il signor Benifei è tornato con ben altre consapevolezze: “Chiunque, dietro le quinte, mi ha detto che CRX gli ha cambiato la vita o che almeno lo ha spinto a comprare il campionatore”.
Stefano Cuzzocrea