Dj set riflessivi per blues asociali
di 2bePOP - 1 dicembre 2013
Di primo acchito si potrebbe pensare che una festa di chiusura della stagione in un club non sia la situazione più adatta se si sente la necessità di stare in disparte. Eppure ho scelto di trovarmi proprio qui e, per la prima volta, di non farmi investire dall’ebbrezza ondeggiante del contesto. Ho deciso di gustarmi la serata dalla prospettiva del dj. Scorgere tipologie umane, gestualità, frammenti di sguardi. Così mi poggio lieve alla pila di casse dalla quale si propaga il soffio che mette in moto i corpi in sala. A volte il dj solletica la mia attenzione con alcuni brani e allora cedo e accenno a qualche movimento istintuale.
Ma subito ritorno al fine della mia serata. Mi accorgo di una ragazza immediatamente sotto il palco. Proprio di fronte a me. Sento il suo sguardo addosso. Sembra cordiale. E inoltre mi par di capire dalle urla sincopate della sua comitiva che oggi sia il suo compleanno. Allora mi decido e le faccio un regalo. Tiro fuori un sorriso alquanto naif. Sembra apprezzare. Ciò mi porta a confermare l’idea che mi ero fatto di lei.
Probabilmente più tardi le regalerò qualche altro mio ghigno. Magari meno impacciato. In ogni caso credo che questo sarà l’apice di socialità che mi concederò. Nel frattempo un bicchiere poggiato distrattamente sul palchetto cade e riversa atterra drink e cubetti di ghiaccio. Una mano premurosa asciuga sommariamente. Da come i miei passi diventano appiccicosi direi che si trattava di un rum & coca. Ma potrei sbagliarmi.
Comunque il malcapitato sbadato avrà modo di farsi riempire un altro bicchiere al banco anche se un po’stizzito per la distrazione e la manciata di euro sprecata. Riprendo il mio disegno della serata. Sempre nelle prime file avverto un’altra ragazza in cerca di sguardi. E anche molto ostinatamente. Ma non offre specularmente i suoi occhi, bensì usa il suo corpo come magnete. Ciò però sortisce effetto ripulsivo in me. No. A lei non corrisponderò empaticamente. Non apprezzo la sua modalità. Esercita la sua forza d’attrazione senza usare lo sguardo. Quindi senza indirizzarla puntualmente.
Lo sguardo è un’arma di precisione. Come un fucile con puntatore laser che mira esattamente a ciò che vuoi colpire. Ma d’altra parte potrebbe permettere al bersaglio di capire che è sotto tiro qualora si accorgesse di avere addosso un tilaka vagante e poco rassicurante. Lei evita accuratamente di puntare. Forse per paura di fallire il colpo. O forse perché non ha necessità di consacrarsi a un solo sguardo.
Potrà continuare a tentare di attirare a sé con movenze smaliziate gli occhi dei presenti, ma di sicuro non otterrà i miei. Di contro risposta ritorno sulla festeggiata che, ancora affabilmente, mi osserva. Lei sì che si merita il un sorriso lieto.
Buon compleanno cara! Spero che il mio silente e ilare dono sia di tuo gradimento. In sala qualcuno incespica sui cavi interrompendo così bruscamente la musica. Ed è qui che mi accorgo del momentaneo disagio di chi si trova a dimenarsi e a cantare goliardicamente per qualche istante nel profondo silenzio irrotto nell’aria. Ma neanche il tempo di metabolizzare l’imbarazzo che il collegamento è già ripristinato.
Tutto ricomincia a scorrere come se niente fosse. Vedo loro. Accoppiati frettolosamente dal destino. Mi vien difficile associare armoniosamente le loro figure. Probabilmente idealizzo troppo e mi lascio ingannare dai lineamenti di lei, così levigati e fascinosi come terre lontane. Eppure, felinamente stretta a lui, sembra in realtà sgattaiolare via con lo sguardo. Chissà verso dove. Forse inconsciamente spero si diriga verso di me ma, essendo conscio della mia paranoica discrezione, accantono l’idea. Qualcuno da sotto il palco deve essersi accorto della mia espressione intimorita e allora protende verso di me una bottiglia di birra. Il gesto mi sorprende.
Mi sorprende al tal punto da rifiutare cortesemente l’offerta. Tuttavia so di aver trovato un’altra persona cui dispensare un sorriso.
Volge tutto al termine. La musica sfuma e si dissolve nell’aria. I corpi si allentano e si trascinano fuori dalla porta. In sala rimangono solo i segni dei gesti, delle persone, degli eventi che l’hanno abitata. Io, ancora accanto alle casse, che oramai non fremono più, stillo fino all’ultima goccia della festa conclusa. Il dj mi offre una birra. Inconsapevolmente, sono stato suo compagno d’avventura. Me n’è grato. E sorrido anche a lui.
Credo si debba rivalutare la concezione dell’asocialità come caratteristica che porta all’isolamento. Standomene lì, passivamente partecipe, ho elargito sorrisi a buon rendere e mi si è offerto anche da bere. Se non è questo un momento aggregativo …
Mattia Argieri