E il tappeto dava un tono all’ambiente (Chiamatemi Alfred!)
di 2bePOP - 20 maggio 2013
“La vita è uno sforzo che sarebbe degno di miglior causa.” (Karl Kraus)
Alfred Pennyworth è sempre stato una vecchia checca isterica per me. Represso, cattivo, eccessivo. Se la prende con un piccolo orfano, testimone oculare di un fatto di sangue efferato. Un personaggio dai connotati gotici, che però nel cinema ha preso le sembianze del mite e beffardo Michael Caine, attore eccelso e dal notevole bagaglio tecnico, adattato ad un ruolo forse non tanto vicino alle sue corde naturali.
Alfred è inglese, come la zuppa inglese e il pasticcio di rognoni, motivo più che sufficiente per immolarlo come martire ad una puntata di Masterchef.
Da giovanissimo il mio sogno era frequentare l’Accademia dei maggiordomi e diventare una cattivona come Alfred Pennyworth. Per fortuna mio fratello, intorno agli otto anni, mi fece capire con feroce realismo, che il mio era un sogno irrealizzabile, visto che ero un tamarro di San Benedetto Ullano, e quindi un calabrese di provincia come tanti.
Allora iniziai a giocare con scarsissimo successo a calcio, facevo il mio compito, ed ero felice. Però nella mia testa un pensiero si faceva largo, mentre con le mie scarpette da poche migliaia di lire calpestavo campetti polverosi: voglio essere un cinico e beffardo maggiordomo inglese, voglio essere come Alfred, voglio dare filo da torcere a Bruce Wayne e farlo sentire ancora più un orfano disadattato, che per compensazione si traveste da uomo pipistrello e passa le sue serata a prendere a ceffoni manigoldi, gaglioffi e brutti ceffi, lì a Gotham! Il problema è il lignaggio, altroché!
– L’ORA DEL THE -
“Faccio questo mestiere da una vita, non so nemmeno io per quale ragione. Non c’è uno scopo, non c’è una prospettiva. Il signorino mi piace, gli voglio un gran bene anche se faccio fatica ad esternare. E’ sempre stato così, anche quando ero giovane. Fare il maggiordomo è un po’ come fare il prete: è una missione, è una vocazione, e io sono nato per servire… Il the lo gradisce con o senza latte?” (Tea break is over)
Adesso ho 34 anni, ho fatto diversi lavori, ho fatto cose di cui non vado affatto fiero, come sputare nella birra di un amico e leggere i libri di Chuck Palahniuk e di Bret Easton Ellis. Ho ascoltato le peggiori band italiane di musica indie. Ho sguazzato nel pacificismo, prima ancora che nel pop, e ho attraversato mari di menzogne e fiumi di lava e di brodo primordiale. Ho oltrepassato le Alpi, superato le barriere di Ercole e sognato di perdermi nel Mediterraneo, come un Ulisse post moderno, ma l’unico rimpianto che mi resta è quello di non aver seguito il mio sogno di diventare un maggiordomo come Alfred Pennyworh. Sarebbe stato bello da raccontare ai miei nipoti, molto meglio che assistere al lancio europeo dell’iPhone, o alla venuta dei netbook in sostituzione dei vetusti laptop con lettore dvd.
E’ la vita… o forse la (mia) vita di provinciale sardella dentro una boccia di cristallo… E il tappeto dava veramente un tono all’ambiente.
Dario Greco