Effetto Pop

di 2bePOP - 6 maggio 2013

effetto popDal Libro delle Salme.

Milano non è che un contrassegno. Nessuna critica. Napoli è un caleidoscopio. Roma un puttanaio semantico. Aosta un dittongo improbabile; e anche una frase, romanonomatopeica (con l’accento sull’ultima a). Nient’affatto, sono solo esercizi di stile.

Dalla finestra entra un’orgia di frequenze di stereo d’auto anni novanta stasera. Èrose fa sgretolare l’aria. Ramazzotti e le sue passioni di mezz’Italia. Oltre che di centro Italia.

Di cui Milano è l’imbuto stilizzante. L’altoparlante produttivo.

Mi abbandono alla sua critica, è un esercizio creativo dappertutto in Italia.

Eppure essere domiciliati a Milano lucida le pupille. Si scrostano, c’è poco da fare.

Si svestono gli aggettivi. Tutto si sintetizza.  Pure le imprecazioni.

What’s wrong?

Fuochino.

No. Acqua.

E’ l’effetto pop. Non mi autofraintendo, per carità. La p che sputa. Chi ha a che fare con i microfoni sa di cosa parlo. Chi no, può cercarlo su google. Chi sa e non si da arie di saperlo sa che parlo d’altro.

E’ la superfrequenza, che distorce.

L’effetto pop è il difetto che diventa stile. In alternativa, c’è l’anti pop.

Questo tempo enigmistico non poteva che recitare glitches. O (dress) code. Emoticons.

Non voglio abbandonarmi.

E’ che si potrebbe scrivere molto delle caratteristiche di un microfono e similmente riflettere in due direzioni: i concetti che lo costruiscono sono più o meno gli stessi a cui da volume, quelli del regno homo logos. Concetti umani troppo umani.

Che fine farebbero le teorie della comunicazione di Shannon e Weaver, o le funzioni di Jakobson, nell’universo del tweet, del fake, del like, del post, del tag, del poke? Non più codifica e decodifica. Meglio trasduzione.

Per non parlare del teorema del campionamento di Nyquist-Shannon e dell’immagine tecnologica di banda passante: epicentro di discussioni infinite sui pro e contro di una socialità basata sull’istantaneo trasferimento dell’informazione.

Ancora: la dinamica, la sensibilità, la selettività, l’induzione, la membrana, il magnete e, per alleggerire, il gelato e lo spillo.

Il microfono è la cosa più umana possibile. La cosa-invenzione, la cosa-funzione, la cosa-metafora, la cosa-cosa più specie specifica tra le tecnologie umane.

E’ un po’ come il logo, in un incerto senso. Il logo in senso alato. Aliquid stat pro aliquo, sine aliquo. Miniatura sic et simpliciter. Memorizzabile, intuibile, evergreen, accattivante, funzionale.

Le risorse umane: stessa cosa.

Nel cortile delle malattie umane stanno vecchi vizi di comprensione e valutazione. L’intelligenza artificiale è forse la più alta delle visioni umane: artificio come luogo astratto che crea astrazione da un congegno. Il vero azzardo è l’intelligenza pragmatica, esecutiva: militare quindi, quel tipo di intelligenza senza gentilezza. La sostituzione uomo-macchina dimora qui. Non in Turing.

Questi corsivi sono nell’intenzione una specie di apriscatole. Il rumore è un suono le cui frequenze sono indistinguibili. Il microfono le coglie. Ma non è mai colpa del microfono.

L’era tecnologica ha in se tutto e niente. Solo nell’era del cinghiale bianco sapremmo convincerci finalmente che il problema non è la tecnologia.

Ma essendo noi nell’era dei porci comodi la minaccia non è l’omologazione, ma la sparizione. (Avrei scritto smaterializzazione, ma non era abbastanza). La sparizione del gesto che supporta un concetto. Per assenza di quest’ultimo, non per addizione tecnologica.

La notte in entrata mi pare un vuoto d’aria. Cioè, un paradosso.

Perciò m’interrogo.

Il logo è sintesi gnoseologica.

E la pantera è rosa.

Ciò detto, sciogliamo i nodi. L’effetto pop che diventa credo. Troppo misto però per essere mistico. Troppo cumulativo. Allora torniamo a noi.

Un microfono si sottovaluta. Eppure il novantapercento (non esiste statistica, ma chissene) delle attività che svolgiamo è basata su microfoni. Una specie di ghiandola pineale tecnologica.

La differenza col passato sta nei dettagli tecnici, non negli avvenimenti. Tra interazione e interattività non c’è che un’intrusione non naturale.

Non voglio mica dire che la storia umana si modifica solo in base ai dispositivi non naturali, così come allo stesso modo non direi mai che Capossela ama e odia Tom Waits. Non lo direi mai. Forse lo scriverei.

Ma solo in una notte smarcata a Milano.

Laura Migliano