Tyler il creatore di giovanili frustrazioni
di 2bePOP - 5 aprile 2013
La verità? Tyler è un frocio, altrimenti che bisogno avrebbe di rivelare ai cinque venti che ha il cazzo duro? E poi gira con Frank Ocean, che è il rapper con le chiappe chiacchierate per antonomasia e plateale ammissione. Per non parlare della madre di sto The Creator: una troia, e non perché lo abbia detto Battiato, difatti lo ha partorito da sola, senza un uomo, un po’ come fanno le cagne. Il povero figlioletto, manco fosse nato in posto cattolico come la repubblica sub deo di un franceschello sudamericano di bianco vestito, intanto, continua a fare canzoncine sul papà, impietosendo il pubblico come fanno gli orfanelli del libro cuore. Tutte cazzate. Tranne le orecchie a sventola: quelle ce le ha davvero.
La verità? Provoca una rabbia tale da mettersi in imbarazzo finanche con se stessi il fatto che un ventiduenne sia un talento conclamato a livello planetario come grafico, come stilista e come musicista, mentre arrivano i quaranta per una marea di precari ancora in fila e la febbre sale già da mo’, intravedendo la fine, per strada, con le dita gialle e il puzzo di piscio a narcotizzare l’anima, lasciando che ricordi e speranze diventino liquidi da espellere, impegnando, così, i pantaloni di urina putrida e malata.
Invidia? Macché: più che altro è rassegnazione. In mezzo ci passa la banalità di un concetto ciclico del tempo: c’era bisogno di una nuova crew alla Wu-Tang ed ecco gli Odd Future. Non hanno inventato troppo, tranne il mettersi in sync con la propria generazione. Coraggiosi, questo sì. Però il rap è roba Usa, o si vuole andare a rubare a casa del ladro? Chiedetelo alle major italiane che ci hanno sempre rinunciato a priori ad esportare l’hip hop nostrano. Mettere in free download un disco a Los Angeles, poi, non è la stessa cosa che fare lo stesso altrove; ad esempio questo blog, nato in provincia di Cosenza, ha più lettori a Milano e Roma che non nel luogo di residenza, senza contare le visite da Londra: ovvero più del doppio di quelle clickate a Lamezia, che si trova a 30 minuti di macchina da questo Mac. Non c’entra nulla? Suvvia, un po’ di elasticità mentale, diamine.
Ce ne vuole un po’ anche per valutare questo Wolf, secondo (o terzo?) album di Tyler. Disco geniale che porta una spanna su le dinamiche compositive di ritmiche e armonie in tinta col war game. Intanto, del resto, è successo il panico: i suoi Odd Cose sono nell’occhio del ciclone, li amano tutti, li odiano tutti, fino al punto che le t-shirt disegnate da The Creator le vendono su Hypebeast e il suo compagno di merende, Francesco Oceano, è più premiato della Juve quest’anno, ovunque. La coppa è loro e il nuovo Lupo prosegue meritatamente sulla stessa strada. Applausi meritatissimi per la fibra insomma.
Cosa c’è dentro? Ritmi cupi ovviamente. Le perle sono tastiere che lasciano scorrere su 88 tasti (usandone più spesso la metà) i suoni di George Clinton, (ri)presi poi dal G-funk, come tutto un universo di jazz immortale. Black fino al midollo. Eppure è differente: intriso di trap, echi di Bristol e trenta anni di nuovi figli dell’hip hop. Contemporaneità a gogò dunque. Una coerenza d’insieme che, se pure si lancia in diversivi da virata, è talmente coesa a livello di sound da risultare quasi pesante. Oltre alle dottrine di Rza e dei micro-campioni spezzettati ci sta tutto l’universo dei Neptunes, dentro (certe batterie!) tant’è che la presenza di Pharrel non è casuale, semmai un’ammissione. Un po’ di furbizia c’è: se avessi invitato Method al microfono sarebbe stato un autogoal decisivo per perdere il match. Ed Erikah Badu allora? L’hanno messa su un ambiente armonico storto, come piace a lei, latineggiante quasi, che non c’entra quasi una minchia con gli altri tasselli dell’album, pur obbligandola a mantenere un profilo basso, del resto Tyler a donne di quel calibro è disabituato: altrimenti perché le chiamerebbe puttane spesso e volentieri?
Pare, comunque, che questa sua mania di dire frocio e troia sia una provocazione. Una cosa stupida? Ma se c’è ancora gente che si scandalizza e ne parla inorridendo ha ragione sto ragazzino. Le stupidaggini sono queste. Che poi risulti immaturo anche in pezzi come 48 e Colossus/the Bridge of Love è normale: è grande perché famoso ma resta pur sempre un adolescente di successo.
In quanto a produzioni però la sa lunga. È più originale e fine, oltre che meno tamarro, di tutti i suoi colleghi del sud e di quei presunti nuovi afrofuturisti che sembrano in fila per fare i beat a Lady Gaga. In lizza Tyler non si ci pone per niente. Lui riesce ad essere anche elegante, come in Lone, ad esempio, pur poggiandoci sopra l’asprezza di una tonalità marcia, tanto da ricordare Sinatra e chiudere il cerchio del paradosso.
Infatti mi spiace aver detto brutte cose su lui e su sua madre ma non può offendersi, altrimenti risulterebbe un guappo di cartone. Dopo un disco e una carriera così spiacerebbe trovarsi di fronte ad un’ennesima montatura. I cavalli di razza si vedono sulla lunga distanza: è un po’ come consultare Wikipedia o la Treccani. Su certe cose va bene finanche essere conservatori e non semplicemente nostalgici.
Avevo un compagno di classe che quando eravamo 15enni si scopava tutte le ragazze più grandi, erano bellissime, e picchiava chiunque, anche i trentenni. Cosa fa adesso? Cercare alla F di fallimento: ad uscire da quel copione non ci ha mai provato e neppure da casa sua esce spesso, però si occupa di suo figlio con passione, forse pure troppa. Tyler caro, vorrei incontrarti tra 100 anni ma bada: io non sono Gianni Morandi, tant’è che con quel fallito siamo ancora ottimi amici.
Stefano Cuzzocrea