Una tonnellata d’acqua
di 2bePOP - 3 aprile 2013
Non è un caso. Se piove da settimane ci sarà un perché. Cadono goccioloni che trasformano tutte le città in Manchester. Magari non è male, magari nasceranno fiori e canzoni, in questa primavera tanto attesa quanto lacunosa già dagli esordi. L’attesa è immobile. Resta giusto il sabato del villaggio. Rimane solo la festa comandata, imposta, oltre alla domenica del tifo: malattia invincibile fin dai giochi imperiali. Sarà un caso che si gareggi anche fuori da quei moderni circhi? Che non si faccia squadra ma fazione? Che le teorie darwiniane abbiano partorito infami in forme di veline e calciatori o di vincitori e vinti? È ancora Atene ed è ancora Sparta, e poi dicono che lo spauracchio sia quello di finire come la Grecia moderna.
Roma è deserta. Erano anni che non era tanto desolata. La vita è amara, lontana dai vecchi e dolci fasti di un passato prossimo e periferico, di isole e arcipelaghi culturali: le strade pullulano solo di pakistani che vendono rose, aspettando primavera. Ci sono solo loro fuori. Che poi perché non si dedichino a vendere dentifrici resta un mistero: hanno denti bianchissimi e poca attitudine con il marketing evidentemente. Li salva la fede, ma non la loro: quel cattolicesimo della carità tanto caro ai francescani e a questo Francesco sudamericano venuto dal cielo per abbattere ogni residuo socialista. Tanto non serve: c’è una crisi di sistema in atto e nessuno trova soluzioni che non siano numeriche o alfanumeriche. Ormai è meglio l’uovo oggi anche nei bei pollai di una Milano ubriacata dai brand e dagli status symbol. Resta l’acqua da bere anche sotto l’effige e la gloria della Modonnina. Fuocherello? Acqua.
Piove ovunque. Pioggia a catinelle anche sul quel sud che ha trasformato la presunta vocazione turistica in un turista per sempre da scorticare. Tanto le carte e le cartacce sono biodegradabili come la municipale, e forse anche l’etica lo è sotto quest’acqua che allaga rioni e coscienze, tramutando tutto in una spugna che non assorbe più nulla se non l’alcol che disinfetta la bua. Tutti malati. C’è chi è ingordo, chi deluso, chi ha perso le speranze, chi l’orgoglio, chi, suo malgrado, la dignità, chi, invece, l’onestà, anche se per coerenza non lo ammetterà mai.
Non c’è più nulla di asciutto insomma. E le gocce scendono giù a lavare tutto, ribattezzando, dando nuovi nomi come casta e movimento, nomi che c’erano già ma che indicavano altre cose. Si stava meglio quando si stava peggio, farfuglia qualcuno imbiancandosi la coscienza, bagnandosi l’autorevolezza in cerca di uno smacchiatore, senza accorgersi di aver la lingua brizzolata come quella che lo faceva ridere sulla bocca di suo padre. Il tempo è ciclico o è un cane che si morde la coda, chi lo sa?
Scivola tutto via. Scivola tutto nel dimenticatoio, tra i mille dati che piovono addosso, come le cifre di un matrix in pillole. Tutto scorre senza sosta, tranne i ricordi, e ci si aggrappa, infatti, al passato senza più distinguere cosa sia nostalgico e cosa, invece, conservatore. La decadenza è in atto e si trasmette a banda larga in una comunità morta e sepolta da comportamenti seriali: non si fa rete se non in Rete e si finisce come pesci che muovono le labbra senza emettere alcun suono. Troppe voci fanno lo stesso effetto del silenzio. Sarà per questo che a tentare di salvarli pare sia arrivato un dittatore? La matematica non è un’opinione ed i numeri servono più di ogni parere, saggio o decrepito che sia. Pesa più una tonnellata d’acqua o una di merda? Eppure non sono esattamente la stessa cosa.
Stefano Cuzzocrea